martedì 3 febbraio 2009

Giuseppe Gatì e alcuni Vigili poco urbani: la mafiosità è anche un comportamento

La rete è ancora turbata dalla morte di Giuseppe Gatì. A noi, però, inquieta anche l'atteggiamento del vigile urbano presente quel giorno, nella biblioteca del Comune di Agrigento. Nel filmato si vede un solo vigile, ma pensiamo che ce ne fossero altri, in sala.
L'aggettivo 'urbano' non vuol dire soltanto 'della città', ma anche 'civilmente cortese'. Al di là delle facili battute sui vigili urbani, legate alla loro straordinaria solerzia nel distribuire contravvenzioni, a noi sembra che di civiltà e di cortesia se ne sia vista davvero ben poca, quel giorno, ad Agrigento.
Di certo, le nostre considerazioni si basano sui pochi minuti filmati, forse appena sufficienti per farci capire come, ad Agrigento, i tutori del civile comportamento abbiano preferito difendere un pregiudicato (Vittorio Sgarbi), piuttosto che un onesto cittadino (Giuseppe Gatì) che, senza manganelli e svastiche, aveva espresso la propria libertà di libero cittadino, gridando 'Viva il giudice Caselli, viva il Pool Antimafia', nonché 'volgare' e 'pregiudicato'. In Italia, dire la verità costa parecchio. Ne sanno qualcosa giornalisti come Carlo Vulpio e giudici come De Magistris (solo per citare due nomi, ma la lista è lunga) che sono stati 'allontanati' in maniera poco urbana, per aver fatto emergere molte verità.
L'Italia ha un tessuto sociale fatto di connivenze con la disonestà. Molto spesso sono proprio le autorità, preposte a garanzia della civile convivenza, ad essere disoneste. Quanti sindaci, assessori, presidenti di regione, intere giunte, parlamentari... sono stati (e sono) accusati di disonestà o di mafiosità.
Essere mafiosi, poi, non vuol dire necessariamente andare a piazzare ordigni e chiedere il pizzo, ma anche impiegare un comportamento che osteggia l'onestà e la libertà individuale, prendendo invece le difese di chi l'onestà non sa proprio cosa sia. Essere mafiosi vuol dire impedire che l'onestà e la libertà si rivelino pubblicamente, vuol dire aggredire un Giuseppe Gatì impedendogli di parlare, vuol dire 'toglietegli la telecamera', vuol dire rinchiudere una persona in una stanza per isolarla, vuol dire anche non parlare. E le tv continuano a tacere.

CONTRO POST
Quel vigile urbano, però...
Osserviamo le immagini filmate. Vediamo tutto l'imbarazzo e l'inadeguatezza del vigile urbano nel tentare di fermare l'impeto di Giuseppe. Un probabile 60enne contro i gagliardi 24 anni del Gatì. Osserviamolo bene, il vigile. Un padre di famiglia, Giuseppe poteva essere suo figlio. Ma che doveva fare? E' stato costretto a farlo. Probabilmente il vigile stava anche pensando che Giuseppe avesse ragione. Ma un padre di famiglia, quasi in pensione, in quel momento, con una divisa addosso. Ma che doveva fare? Noi percepiamo quasi un dispiacere nei suoi occhi. I suoi gesti di contenimento sono pacati.
Adesso ci piace pensare che il suo 'placcaggio' si sia limitato a quei pochi minuti (infatti al secondo minuto ha mollato e se n'è andato) e che dopo abbia preso Giuseppe in disparte e gli abbia sussurrato all'orecchio: «bravo Pe'»!

9 commenti:

pia ha detto...

Ma la storia ci insegna che il potere ha sempre funzionato così, purtroppo.

progvolution ha detto...

poveri lacchè e compromessi stretti tra l'essere vittime e l'essere carnefici. In Italia, purtroppo, molte forme di potere tendono verso la mafiosità ringraziando il servilismo mentale diffuso
Sussurri obliqui

➔ Sill Scaroni ha detto...

Ciao !
Essere mafiosi è tutto questo che tu ha scritto.





*In la Storia non ci insegna che il potere ha sempre funzionato così. Perché questa visione è la manipulazione violenta del capitale.

Crocco1830 ha detto...

L'intreccio di potere e mafia è molto forte. Guardare in faccia la realtà delle cose li infastidisce.

coscienza critica ha detto...

@ tutti
Per agire contro un sistema siffatto, occorre essere liberi. Ma liberi davvero, come lo era Giuseppe. Già, ma lui faceva il pastore... i pastori sono gente schietta e libera da molti vincoli. Noi invece viviamo nell'Italia fondata sul lavoro e sul compromesso. Se osi alzare la voce, sei out e perdi il lavoro. Perdi tutto. Come possiamo reagire?
(mio momento di sconforto del tutto temporaneo)

Anonimo ha detto...

A me sembra proprio che non ci sia più libertà di parola in questo Paese. Abbiamo tutti paura di dire le cose come stanno, in pubblico. Ognuno di noi ha qualcosa da perdere, e, con questo regime, se dici la verità come minimo vieni isolato, ma puoi perdere anche il lavoro, e qualcosa di più. Solo chi ha molto coraggio si schiera contro. Oppure chi non ha nulla da perdere.
Del resto, come dite nel post, il comportamento mafioso è ormai talmente radicato nel Paese, che l'onestà e la sincerità sono viste come comportamenti devianti, e vengono regolarmente ostacolati. Se non è regime questo, cosa lo è?

coscienza critica ha detto...

@ holamotohd
Sempre incisivi e lucidi i tuoi commenti. Bravissimo.
E' vero, abbiamo tutti paura di dichiararci in pubblico, di dire le cose come stanno. Per conto mio, sto affinando la tecnica del 'dire con diplomazia'... hai visto mai... spesso però funziona. Ma mi rendo conto che a volte sia meglio urlare, come ha fatto Giuseppe. L'importante è dire, denunciare.

Anonimo ha detto...

Avete visto il decreto sicurezza? Mi sa che a dire urlando si corre il rischio di essere messi a tacere... Ora con la scusa dei gruppi pro mafia o pro stupro possono chiudere qualsiasi cosa sia ritenuta deviante... Forse dobbiamo veramente «affinare la tecnica del 'dire con diplomazia'» o forse, invece, dobbiamo gridare più forte... Però son tempi bui!

coscienza critica ha detto...

@ Mario
Sì, Mario. Con questo pacchetto sicurezza la maggior parte delle nostre azioni diventano imputabili di qualcosa. Presto ci troveremo in gattabuia per assembramento in luogo pubblico (legge mussoliniana che rispolvereranno).
Ciao

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