martedì 29 marzo 2011

Il popolo e il suo massimo grado di sudditanza

Il virgolettato di cui sopra, che appartiene a J. J. Rousseau, si sposa con l'affermazione di Rudolf Rocker: 'E' lo Stato che crea una Nazione, e non la Nazione che crea lo Stato'. Si vuole esprimere il concetto secondo cui l'impianto gerarchico-statale al quale l'umanità è stata sottoposta non appartiene alla volontà naturale ed egualitaria di organizzazione sociale, dove gli individui sono ritenuti con pari dignità e diritti, bensì a un'intenzione di dominio da parte di una certa élite (casta) che, con l'inganno e l'uso della forza, ha fatto credere agli altri uomini che esistono individui superiori, quindi meritevoli di comando su tutti gli altri, questi ultimi meritevoli di essere comandati. E' evidente che questa impostazione gerarchica della società abbia generato l'esercizio perpetuo dell'autorità, quindi una serie infinita di oppressioni e di atrocità ai danni del popolo.
La storia di questa 'presa del potere' da parte di una certa élite configura l'esistenza di una società precedentemente libera, senza governo, anarchica, egualitaria e cooperativa, quindi pacifica. Ne avevamo parlato in un post che continua ad essere molto letto e questo ci fa piacere. Ma la stessa 'presa del potere', lo stesso ordinamento gerarchico, la stessa autorità, se inizialmente poteva essere percepita come un evidente torto e un detestabile oltraggio alla persona, oggi quei modelli sono ritenuti normali. Il passaggio da una forma di dolore ad una di 'normalità stabilita' ha avuto bisogno di due elementi: poco tempo e molta propaganda. Riguardo al tempo, consideriamo quello necessario affinché una generazione (di una data comunità) nasca già dentro il modello autoritario. Gli individui che per la prima volta sono stati costretti a sopportare (e a supportare) l'autorità dello Stato, hanno forse avuto il tempo e il modo di reagire, ma le generazioni novizie hanno dovuto fare i conti con un nuovo imprinting. E' facile immaginare persino il contrasto generazionale tra padri e figli, dove i primi hanno visto i secondi soccombere facilmente all'autorità, accettare di buon grado il peso della piramide dello Stato, considerare normale e giusto l'ordine superiore.
Oggi, dopo 3000 anni di egemonia statale, siamo giunti alla fase della difesa cieca dello Stato da parte del popolo, il quale, a torto, considera lo Stato come l'unica opzione possibile di organizzazione sociale. Alla difesa dello Stato si aggiunge l'azione accusatoria nei confronti di qualsiasi altra proposta organizzativa della società che non comprenda un modello gerarchico. Questo anche per colpa di una continua propaganda da parte dello Stato, il quale detiene il controllo di ogni settore della società e degli istituti di istruzione. La propaganda statale è naturalmente autoreferenziale e sarebbe un'operazione troppo lunga quella di elencare qui, in un blog, la lista delle operazioni strategico-comunicative messe in atto dallo Stato, ottimizzate nel corso di questi 3000 anni. Una di queste strategie di propaganda autoreferenziale è ovviamente la diceria secondo cui lo Stato dovremmo essere noi. Alcuni ci credono davvero. Altre menzogne propagandistiche sono legate ad esempio alle parole e al loro uso (vedi).
Oggi il popolo è arrivato al suo massimo grado di sudditanza, perché se è vero che un suddito medievale era consapevole di esserlo e sapeva anche che non avrebbe mai potuto aspirare al potere, oggi gli individui non soltanto non sanno di essere sudditi (semmai lo intuiscono), ma sono alla continua ricerca (inconscia) di una posizione di dominio, che la propaganda di Stato, astutamente, fa loro percepire come possibile. Se dovessimo usare all'uopo un'altra citazione, dovremmo far ricorso alla seguente: 'date a un individuo un berretto con due galloni cuciti e quello si pavoneggerà come un capo'. Ci viene in mente il film 'Il vigile' con Alberto Sordi.
Il modello statale, autoritario, gerarchico, originariamente imposto con la forza sui popoli liberi, è diventato modello da difendere e da imitare. Ci sembra superfluo, a questo punto, dire che i programmi politici dei partiti (tutti) non sono altro che superflui accessori, venduti e spacciati come indispensabili piattaforme politiche. Sarebbe quantomeno umano cominciare a costruire un personale strumento di difesa culturale contro ogni elemento proposto dal sistema-Stato, parliamo di esercizio basato sulla critica. Spesso le cose che si dànno per scontate nascondono il tranello. Le capacità di analisi e di critica stanno per essere completamente distrutte dalle varie 'riforme' della scuola pubblica, non è certo un caso. Ma può un suddito con ambizioni di dominio voler mettere in discussione o distruggere quello stesso posto a cui ambisce? Non è forse questo 'non volere' uno degli ostacoli maggiori che impedisce le rivoluzioni nel mondo occidentalizzato?

Per quelli consapevoli che quel posto non lo avranno mai, suggeriamo la lettura de 'Il programma anarchico' di Errico Malatesta (1919).

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1 commento:

Jinocchio ha detto...

L'egemonia dello Stato è ben più vecchia di 3000 anni ed è legata alla rivoluzione agricola.
L'aver imposto gerarchie sulla natura, sulle piante, sulle terre e sugli animali è stato il precursore della gerarchizzazione intra-specifica.
Il contributo più importante di Malatesta è stato quello di porre l'attenzione sulla coerenza tra fini e mezzi. Se il nostro fine è l'anarchia allora dobbiamo abbattere ogni forma di gerarchia, intraspecifica come interspecifica.
Quando i razzismi si accendono partono sempre spunto dal rapporto uomo-animale: gli schiavi erano animali parlanti, gli indios erano animali, gli ebrei erano animali, i tunisini sono animali a cui fare pim pim, con le doppiette leghiste. Evidentemente non è benifica nemmeno per noi specie dominante, questa dominanza.
Insieme al progetto anarchico sarebbe interessante ripensare il nostro ruolo all'interno di questo corpo vivente che è il pianeta Terra.

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