venerdì 3 febbraio 2012

Il senso della pittura di Vincent Van Gogh

(questo post non tratta la biografia di Van Gogh, né i temi specifici della sua pittura, ma vuole portare alla luce un angolo della sua stanza)

Volendo illustrare in una parola il senso più intimo dell'arte di Van Gogh, considerata l'evoluzione del suo percorso di vita (fuori da ogni romanzo), avendo messo in parallelo le opere, gli scritti critici e le lettere al fratello Théo, possiamo sicuramente utilizzare la parola AUTONOMIA. La pittura di Van Gogh è assolutamente autonoma, basta a se stessa, è stata concepita per questo.
Il rifiuto che Van Gogh ha ricevuto da parte del sistema sociale non poteva che sfociare in una umana reazione. Vi sono molti modi per reagire artisticamente al sistema. L'amico Paul Gauguin si era autoesiliato, certo per motivi ideologici, artistici, primitivistici e naturalistici, ma è stato pur sempre un tipo di reazione. Odilon Redon e gli altri si erano rifugiati nel simbolo come reazione ad una realtà contrassegnata dall'ingiustizia del potere, così come Edvard Munch, il quale però, pur non essendo un simbolista, considerava tutta la realtà un simbolo o un insieme di simboli significanti.
Van Gogh usa il colore per reagire, il colore inteso come materia, come elemento palpabile e concreto. Egli letteralmente costruisce la realtà, la sua realtà, quella che gli viene negata, i colpi di pennello dell'ultimo Van Gogh non portano il colore tradizionale sulla tela, ma mattoncini di realtà. Ogni pennellata un mattoncino. E in quella realtà-altra autocostruita e autonoma tutto vive, tutto deve vivere e vibrare di ardore, di umanità, di amore, anche le cose apparentemente immobili devono muoversi. Sembra di sentirlo urlare, Vincent: 'se voi non mi lasciate vivere, allora la mia vita me la costruisco io, a modo mio, come voglio io'!

  • Van Gogh non era matto, era solo distante dal pensiero unico dominante.
  • Van Gogh non era pessimista, portava la gioia di vivere nel cuore, portava l'anarchia.
  • Van Gogh non era introverso, voleva darsi da fare nella società e stare insieme agli altri, soprattutto vicino ai sofferenti, gioiva dalla voglia di libertà, si rattristava nel vedere la gente prigioniera del sistema.
  • Van Gogh soffriva atrocemente di acufene, fu quella la causa del taglio del lobo.
  • Van Gogh non si è ucciso, è stato ucciso per errore da un sedicenne (Van Gogh non ha denunciato il giovane per non condannarlo alla galera, muore dopo due giorni di agonia).
(Quindi basta con tutte le romanzate scritte nei libri di Stato).

Una lettera al fratello Théo (attenzione alla metafora dell'uccellino in gabbia):

Ti scrivo un po’ a caso quel che mi viene alla penna, sarei ben contento se in qualche modo tu potessi vedere in me qualcos’altro che una specie di sfaccendato.
Perché c’è sfaccendato e sfaccendato, non sempre sono tutti uguali. C’è lo sfaccendato per pigrizia e debolezza di carattere, di basso profilo: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale. Poi c’è l’altro sfaccendato: lo sfaccendato controvoglia, che è roso all’interno da un grande desiderio di azione, che non fa nulla, perché non può fare nulla, perché è come prigioniero di qualcosa, perché non ha ciò che gli sarebbe necessario per essere produttivo, perché la fatalità delle circostanze lo porta a essere così; uno non sempre consapevole di quel che potrebbe fare, ma che lo sente istintivamente: eppure sono capace di qualcosa, esisto per qualche ragione!
So che potrei essere un uomo del tutto diverso! A cosa dunque potrei essere utile, a cosa potrei servire? C’è qualcosa dentro di me? Che cosa? Questo è un altro tipo di sfaccendato: vedi un po’ se sia giusto ritenermi tale!
Un uccello in gabbia in primavera sa benissimo che c’è qualcosa per cui sarebbe adatto, sente benissimo che c’è qualcosa da fare, ma non può farlo: cos’è che non può fare? Non ricorda bene, poi ha qualche vaga idea, e dice tra sé: 'gli altri hanno il nido, fanno i piccoli e allevano la covata'; allora dà con la testa contro le sbarre della gabbia. Ma la gabbia resta lì, e l’uccello è pazzo di dolore. 'Ecco uno sfaccendato' dice un altro uccello che passa, uno che vive di rendita. Eppure il prigioniero vive. Non muore. Nulla di ciò che accade dentro, appare di fuori: sta bene, è più o meno felice alla luce del sole. Ma viene la stagione delle migrazioni. Eccesso di malinconia. 'Eppure — dicono i bambini che lo tengono in gabbia, — non gli manca nulla!' Lui invece guarda fuori il cielo gonfio, carico di tempesta, e sente montare la rivolta contro il fato dentro a sé. 'Sono in gabbia, sono in gabbia, e non mi mancherebbe nulla? Imbecilli! Avrei tutto ciò che mi occorre? Ah per favore, la libertà! Essere un uccello come gli altri!' Un uomo sfaccendato assomiglia a un uccello sfaccendato. E gli uomini sono spesso nell’impossibilità di fare qualcosa, prigionieri in non so quale gabbia orrenda, orrenda spaventosamente orrenda. C’è anche lo so la liberazione, la liberazione tardiva .Una reputazione cattiva mette l’uomo a disagio. La fatalità delle circostanze, la sventura: è questo che mette in gabbia. Non sempre si sa bene cosa sia ciò che rinchiude, che costruisce muri, che seppellisce eppure, le sbarre, le inferriate, i muri, confusamente li conosciamo.
Tutto ciò è immaginazione, fantasia?
Non lo credo; e poi ci si chiede: mio Dio è per molto, è per sempre, è per l’eternità?
Sai cosa fa scomparire la prigione? E’ il sentimento profondo, vero. Essere amici, essere fratelli, amare, è questo ad aprire la prigione grazie a una potenza sovrana, grazie a un potentissimo fascino. Colui che non possiede questo potere, resta nella morte. Ma lì dove rinasce la simpatia, rinasce la vita.
La prigione talvolta si chiama anche: pregiudizio, malinteso, fatale ignoranza, diffidenza, malafede. Ma per parlare d’altro: mentre io sono sceso, tu al contrario sei salito. E se io ho perduto simpatie, tu ne hai acquistate. Questo mi rende contento, lo dico veramente, è qualcosa che mi rallegrerà sempre. Se tu fossi poco serio e poco profondo, potrei temere che non durasse, ma poiché penso che sei serissimo e profondissimo, mi sento portato a credere che durerà. Solo, se tu potessi vedere in me qualcos’altro che uno sfaccendato della peggior specie, ne sarei davvero lieto. Se mai potessi fare qualcosa per te, esserti utile in qualcosa, sappi che sono a tua disposizione. Ho accettato quel che mi hai dato: allo stesso modo anche tu potresti chiedermi qualcosa; se mai io potessi esserti utile ne sarei contento e lo considererei un segno di fiducia. Noi siamo piuttosto lontani l’uno dall’altro e possiamo avere, per alcuni riguardi, modi di vedere differenti, ma, ciò nonostante, in un dato momento o in un dato giorno, l’uno potrebbe essere di aiuto all’altro. Per oggi ti stringo la mano, ringraziandoti ancora della bontà che hai dimostrato nei miei confronti.
Se prima o poi vorrai scrivermi, il mio indirizzo è: presso Ch. Decrucq, Bue du Papillon 8, a Cuesmes vicino a Mons. E sappi che scrivendo mi farai del bene.

Ti auguro ogni bene, Vincent

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1 commento:

egill-larosabianca. ha detto...

Vincent é l'amante non amato l'Arte
Non protetto da partiti libero e
infelice trova la felicità amando
Le sue visioni sono amore curiosità
fascinazione Creatura solitaria
guidata dal forte sentire -
Innamorato del postino quanto dei girasoli e del cielo stellato-Frammenti della sua "Stanza" li troviamo in tutti i soggetti in tutti i suoi dipinti -Ritrovarsi di fronte a una sua opera é un privilegio una grazia come contemplare una nuova creazione dell'universo-
Egill

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