giovedì 8 agosto 2013

Morire di menzogne: la guerra

 - Nostra patria è il mondo intero -
Non si fa la guerra perché c'è un nemico brutto e cattivo al di là della frontiera. Questo è quello che la propaganda di stato, nazionalista e fascista, fa credere ai sudditi per impaurirli e prepararli al massacro. Si fa la guerra affinché i sudditi preparino il terreno ai padroni, i quali hanno fabbriche e aziende da impiantare all'estero; aziende che hanno fame e sete di risorse umane, animali e naturali. Il nuovo sfruttamento delle risorse, è chiaro, avviene dopo la guerra, e sulla base di questo sfruttamento di esseri viventi e ambiente, le borse-valori di tutto il mondo fanno affari enormi. Ma in borsa sono proprio le aziende del Paese invasore a straguadagnare. Quindi l'enorme ricchezza dei padroni fatta sulla pelle della gente prende due strade: da una parte c'è la colonizzazione forzata con i nuovi schiavi che producono per il nuovo padrone invasore (ricchezza diretta), dall'altra parte il nuovo padrone moltiplica i guadagni attraverso la quotazione in borsa delle sue aziende (ricchezza indiretta). 
A guadagnarci con la guerra sono tutti, tranne i popoli che sono considerati servi e carne da cannone, non solo durante la guerra; è sufficiente imbonirli e renderli aggressivi. Imbonimento e aggressività sono due condizioni che devono essere sempre alimentate, e per questo ci pensa lo stato con la sua pedagogia continua e a circuito chiuso (famiglia tradizionale, scuola tradizionale, parrocchia, mass-media). La società così plasmata non soltanto sarà sempre pronta ad accogliere le menzogne dei governi e a massacrare 'i nemici', ma si comporterà in modo tale da perpetuarsi così com'è, nel modo voluto dai pedagogisti di sistema. Anche per questo motivo il nostro vero nemico non è nostro fratello o nostra sorella oltre il confine artificiale, ma è lo stato, la più grande tragica menzogna degli ultimi 5000 anni.

Foto.
Manoscritto dell'artista anarchico T. A. Steinlen.
'Finché la guerra sarà un buon affare in borsa, non c'è alcun motivo per disgustarsene'. (Revue d'Italie, 1905)




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