Tra le caratteristiche dell'autoritarismo c'è anche la pratica del dossieraggio, involontario o volontario, diretto o indiretto. Gli autoritari non sanno fare a meno di prendere informazioni su tutto e su tutti, non certo per amor solidale, ma perché devono avere tutto sotto controllo, devono anche poter classificare le persone secondo parametri mentali soggettivi, gerarchici. Gli autoritari, sapendosi in posizione colpevole e fragile, devono sentirsi sicuri il più possibile, perciò non possono lasciare dei vuoti cognitivi in merito alla vita delle persone che gestiscono, di queste devono conoscere tutto (dove abitano, cosa possiedono, quanto guadagnano, di chi sono parenti, come si abbigliano, quale partito sostengono...), sì da prevederne persino le mosse, gli umori, le idee, le inclinazioni... quindi giudicarle, decidendo se è il caso di tenerle sotto più stretta sorveglianza, e tenendo buone le informazioni acquisite anche per operare ricatti.
Il dossieraggio volontario, cioè quello svolto volontariamente dal sondato, si ottiene attraverso tutte quelle forme di informativa burocratica che la legge impone e che vengono percepite innocenti o utili (ad es. il censimento, il redditometro, o i numerosi questionari istituzionali o aziendali); mentre il dossieraggio involontario è quello svolto privatamente e segretamente dall'autoritario, e a questo scopo il singolo autoritario si avvale di strutture confessionali e di collaboratori (leccaculo) pronti a diventare spie eccellenti, kapò raffinatissimi, che spesso riportano anche considerazioni personali, ulteriormente arbitrarie, i vari 'sentito dire', che si traducono quindi in calunnie micidiali, molto utili all'autoritario ai fini della sua classificazione. Una volta marchiato il soggetto (meglio dire l'oggetto) con un'etichetta, qualsiasi cosa faccia il marchiato sarà visto attraverso il filtro arbitrario applicato a monte: il pregiudizio.
Il marchiato, il bollato, il classificato, il calunniato, il ricattato, sarà quindi ingabbiato, incatenato anche mentalmente, e da schiavo controllato avrà la sua vita totalmente condizionata, penserà soltanto in funzione di ciò che di lui si dice (o che si potrebbe dire), non potrà sbagliare, perché al minimo errore, o anche solo al minimo sospetto, tutti intorno a lui -cioè tutta la società che crede alle autorità e al loro gioco- lo additeranno come colpevole e sarà punito. Persino quelli che non avrebbero alcun motivo per accusare il classificato cadono nel tranello autoritario e lo accusano, al solo scopo vigliacco di fare 'bella figura' davanti all'autoritario e sperare in una medaglietta come ricompensa, o un passaggio di grado per diventare anch'essi capi e fare agli altri esattamente quello che hanno subìto.
Capite bene perché la solidarietà è un'arma, e perché questa non è oggetto di cultura nelle società statalizzate, dove tutto è stato invece fondato sulla competizione e le etichette. Pensiamoci come persone, e non come oggetti classificabili e ricattabili. Strappiamo le etichette (mentali e non), non facciamo gli sbirri di noi stessi, il sistema autoritario è fragile di per sé, non rendiamolo forte, non autoingabbiamoci.
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