Se la massa plagiata amasse davvero la
libertà, capirebbe da sola che questa parola, 'libertà', è massimamente
inconciliabile con un sistema gestionario gerarchico in cui la massa
viene tenuta al guinzaglio e in cui crede, non perché ne abbia
analizzato i meccanismi perversi (non ne avrebbe neppure la possibilità,
giacché il sistema non divulga gli strumenti per farlo, o li denigra),
ma per cieca abitudine e ignoranza. La
paura della libertà -come direbbe Fromm- deriva però dalla non
conoscenza della stessa. Da troppo tempo il popolo vive in cattività (si
noti il senso della parola 'cattività') e ormai si è affezionato sia
alla gabbia, sia al bastone che lo percuote; il continuo lamento del
popolo è diventato prassi, conditio sine qua non, ingranaggio del
meccanismo, un modo per giustificare la venuta e l'adorazione di un
altro padrone. E in questa gabbia fatta di coercizioni e di paure infuse
scientificamente, la massa ondeggia nel suo ruolo di schiavo
consumatore, e l'unica libertà che riesce a concepire è quella relativa alla misura del
suo guinzaglio, più o meno lungo, a seconda della volontà del padrone di
turno che, a sua volta, allunga o accorcia il guinzaglio in base ai
desiderata del sistema-stato. E dire che fuori la gabbia c'è il tutto,
la libertà, compreso il senso della vita e il ritrovamento della dignità
in una dimensione alfine umana.
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