venerdì 26 gennaio 2018

La mia libertà finisce dove comincia la tua?

Il mio ragionamento sulla libertà non può che essere diverso da quello condiviso dalla folla. Quando si dice retoricamente che 'la libertà finisce dove comincia quella degli altri' non posso che provare un senso di disgusto, ma anche di vergogna, perché constato il modo in cui la folla sorvola volutamente sull'analisi reale di questa frase. Gli basta la retorica, la bella scorza, soprattutto gli basta sapere di non mettere a repentaglio la sua condizione di schiavo per applaudire a quella frase e sentirsi nel giusto. 
Eppure è sulla base di quella frase che, in questa società, ci si scanna e non si ha più libertà da secoli e secoli. E' sulla base di quella frase che i governi muovono gli eserciti e impongono coercizioni ai popoli, alle singole persone. Quando si stabilisce un limite, un confine, un divieto anche e soprattutto alla libertà, è sempre un atto criminale, dittatoriale, l'inizio di una catena autoritaria di eventi. Se la mia libertà finisce dove comincia la tua, dovremmo dunque stabilire chi dovrebbe (e soprattutto perché dovrebbe) arrogarsi il diritto di stabilire qual è la tua libertà, e qual è la mia. Lo stabilisce la nostra rispettiva forza brutale muscolare? Il nostro rispettivo esercito? O il suo surrogato burocratico, cioè una struttura istituzionale che legifera e impone divieti a vantaggio di qualcuno e a discapito di qualcun altro? Lo stabilisce una morale sedicente divina che mi esorta a porgere l'altra guancia e a fare voto di povertà affinché qualcun altro si giovi delle ricchezze che produco? In ogni caso, come si può notare, non è più libertà, ma coercizione di governo, dittatura, sfruttamento! E se ci facciamo caso, tutta la nostra società è fondata su quella pretestuosa frase, che si concretizza ogni giorno e in ogni luogo. Se tutti dicono di ricercare la libertà pensando di riuscirci poiché affidano a quella frase tutte le speranze, sappiano che la schiavitù di cui sono vittime si basa proprio sulla limitazione della libertà del popolo per salvaguardare quella del Capitale e dell'élite al governo.
Io invece intendo la libertà come la intendeva Bakunin, infatti potrò dire di essere veramente libero soltanto quando anche tutti gli altri lo saranno. Questa è per me la libertà, ed è di questa libertà che lo schiavo ha un'enorme e stupida paura. Paura di che? Di morire e di soffrire? Sì! Ma allora questo schiavo non dovrebbe proprio obbedire ai padroni che lo mandano al macello! Non dovrebbe soprattutto crearne di padroni! Tre morti al giorno sul lavoro non bastano? E le guerre? E i genocidi? E le torture? E i suicidi indotti? E le stragi di Stato? Tutto questo non fa paura allo schiavo? 
Pare di no, allo schiavo fa invece paura, anzi terrore, la gioia della libertà, una vita vera e totale vissuta pienamente. Paradosso? Certo. Lo schiavo preferisce morire tutte le volte che il suo padrone alza il dito piuttosto che imparare di nuovo a camminare autonomamente sulla strada della libertà insieme agli altri e autogestirsi la vita. Lo schiavo è troppo abituato ai confini imposti dall'alto, ai divieti, ai limiti, agli ordini, alle gabbie. La scuola (e tutta la società scolarizzata) lo educa a considerare normale e giusto tutto questo. Un universo aperto gli fa paura più della morte certa per mano del padrone. La mia libertà, dunque, non finisce affatto dove comincia la tua. Sulla mia libertà nessuno può arrogarsi il diritto di tracciare un confine, altrimenti non è più libertà, è dittatura, cominciamo a capire questo concetto elementare. E al bando la retorica e la morale dello schiavo, come di seguito!
Infatti lo so che cosa direbbe adesso lo schiavo comune. Direbbe che ci deve per forza essere qualcuno a regolamentare, a legiferare, a fare lo sbirro e il giudice. Se soltanto imparasse, questo schiavo, che quel qualcuno altri non è che un essere umano come me, e che se quel qualcuno esterno a me può, secondo lui, avere voce in capitolo sulla mia vita, sul mio pensiero e sulle mie azioni, perché dunque io, che sono parimenti un essere umano, e conosco meglio di chiunque altro le mie esigenze, non posso averla quella voce in capitolo? Si ponga questa domanda, lo schiavo! Ma lo schiavo è tale perché non ragiona, lo schiavo esegue solo ordini, ed è obbeddendo al padrone e alla sua legge scritta che lo schiavo si dichiara per quello che è: un essere autoritario e asservito che ha bisogno di un governo, di qualcun altro che dall'esterno gli dica cosa fare, cosa pensare, quando farlo, e tutto il resto.

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