venerdì 20 gennaio 2012

Quale rivoluzione?

La rivoluzione? O è del popolo, per il popolo, orizzontale, e senza delegati politici, oppure non è rivoluzione, ma mero passaggio di potere da un governo a un altro per il mantenimento dell'identico sistema. A dirlo è la Storia, a dirlo sono ad esempio le rivoluzioni francese e russa, là dove il popolo, abituato a consegnarsi nelle mani di un'autorità, ha concesso spazi, meriti e decisioni alle élites borghesi che, opportunisticamente, hanno calvalcato l'onda rivoluzionaria, inizialmente spontanea, fino a rimodellare il sistema gerarchico autoritario, rimettendo sul trono i despoti. Chi, nel passaggio tra monarchia e repubblica, continua ancora adesso a vederci un vero cambiamento è già spacciato, sarà ben pronto ad accettare come buona soluzione un altro cambio di forma nominale, ma non di sostanza. E dal momento che non sono poche le persone che credono ancora di risolvere le questioni affidando il destino della rivoluzione nelle mani di qualche rappresentante politico, ci sembra evidente che la non conoscenza tra rivoluzione sociale e rivoluzione tout-court (aggettivata nei modi più vari) sfoci nel catastrofico e storico nulla di fatto.
Una rivoluzione di popolo, profondamente sociale, che ribalti l'intero sistema gerarchico e autoritario, sembra comunemente un'utopia. Eppure di queste rivoluzioni sociali ne sono esistite (Parigi, Ucraina, Spagna, Messico...) ancorché disintegrate dai cannoni di Stato. Il modello quindi esiste, ma non compare sui libri di scuola, al suo posto viene sempre presentato ed elogiato il modello della rivoluzione delegata. Riteniamo grave, in questo preciso momento storico, non conoscere ad esempio quel che accadde a Kronstadt nel 1921.
Molte persone credono nell'impossibilità dell'autogestione. Ma se dovessimo prendere in considerazione quello che gli storici prezzolati, volontariamente o no, evitano di scrivere, allora ci troveremmo di fronte a centinaia di esempi in tutto il mondo dove l'autogestione, l'autorganizzazione, l'anarchia, non sono state -e non sono- soltanto parole. Di questi esempi ce ne dà conto anche Colin Ward (architetto, insegnante, giornalista, scrittore) nel suo libro 'Anarchia come organizzazione'. Ed è da questo libro che estraiamo le righe seguenti, dove la testimonianza diretta dell'economista Peter Wiles, di fronte alla sua breve esperienza rivoluzionaria sociale in Ungheria, così afferma:
[Siamo di fronte a] 'una straordinaria purezza morale, dove per alcune settimane si visse senza che fosse presente alcuna autorità. In un'esplosione di autodisciplina anarchica la gente, compresi i criminali, si guardò bene dal rubare alcunché, dal picchiare gli ebrei e dall'ubriacarsi. Addirittura, gli unici casi di linciaggio riguardarono la polizia segreta (AVH), mentre gli altri esponenti del Partito comunista restarono incolumi...'
Un testimone ungherese di quegli eventi dichiarò:
'Numerosi sono gli esempi di buon senso cui assistetti per le strade in quei primi giorni della rivoluzione. C'erano code per il pane che duravano ore senza che si verificassero litigi di sorta. Un giorno stavo facendo la coda e arrivò un camion con due ragazzi armati di mitra che chiesero se avevamo del danaro perché potessero comprare del pane per i combattenti. Tra la gente accodata si riuscì a raccogliere danaro sufficiente per riempire di pane almeno la metà del loro camion. E' solo un esempio. Dopo un po' un uomo ci chiese di tenergli il posto nella coda perché aveva dato tutto quello che aveva e doveva tornare a casa a prendere altri soldi; la gente gli diede tutti i soldi di cui aveva bisogno. Un altro esempio: naturalmente, durante il primo giorno di scontri, tutte le vetrine dei negozi erano state distrutte, ma nessuno ne approfittò per rubare [...] Il terzo e il quarto giorno le vetrine furono svuotate, ma cartelli annunciavano che la merce era stata rimossa dai commessi o che si trovava in questo o in quell'altro appartamento'.
Nelle rivoluzioni sociali, il popolo che si autogestisce acquista spontaneamente la fiducia in se stesso e in quella degli altri, poiché matura in sé una coscienza atavica volta alla responsabilità e alla cooperazione tra gli individui. Anche durante la Comune di Parigi, dove nessuno era delegato di/da nessuno, si era creata quella che viene definita la teoria dell'ordine spontaneo. Così scrive Kropotkin in merito a tale teoria, nel suo libro 'La conquista del pane':
'I gruppi di volontari, organizzatisi in ogni caseggiato, in ogni strada, in ogni quartiere, non avranno difficoltà a mantenersi in contatto e ad agire all'unisono... se i sedicenti teorici 'scientifici' si asterranno dal ficcare il naso... Anzi, spieghino pure le loro teorie confusionarie, purché non venga loro concessa alcuna autorità, alcun potere! E le meravigliose capacità organizzative di cui dispone il popolo -che così raramente gli viene concesso di mettere in pratica- consentiranno di dar vita, anche in una città grande come Parigi, e nel bel mezzo di una rivoluzione, a una gigantesca associazione di liberi lavoratori, pronti a fornire a se stessi e alla popolazione i generi di prima necessità. Date mano libera al popolo, e in dieci giorni il rifornimento alimentare funzionerà con la precisione di un orologio. Solo coloro che non hanno mai visto la gente lavorar sodo, solo quelli che hanno passato la vita tra montagne di documenti, possono dubitarne'.
La teoria dell'ordine spontaneo nasce dalla constatazione, dalla messa in pratica dell'anarchia attraverso la rivoluzione sociale. E se le esperienze rivoluzionarie anarchiche (senza autorità e deleghe) hanno immediatamente, come prima cosa, garantito al popolo cibo e generi di prima necessità, oggi possiamo quantomeno fare i dovuti paragoni.

Cos'è la rivoluzione sociale?

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