domenica 8 gennaio 2012

C'è violenza e violenza

Riflettendo su un pensiero di Noam Chomsky, con tutta probabilità il più importante intellettuale vivente *, che così scrive in uno dei suoi libri dal titolo 'Anarchia e libertà':
'L'anarchia mi ha attratto fin da quando ero un giovane adolescente, da quando ho cominciato a riflettere sulle cose del mondo, e da allora non ci sono state ragioni che mi abbiano portato a rivedere le mie posizioni. Sono convinto che abbia un senso cercare, identificare e combattere le strutture autoritarie, gerarchiche, quelle che dominano tutti gli aspetti della vita. Non hanno la minima giustificazione, sono illegittime: l'unico modo per raggiungere la libertà umana è quello di distruggerle'.
Ma se tutti possono essere concordi con questa elementare osservazione, il perno su cui girano le questioni e i dibattiti circa l'anarchia è sempre stato il 'fattore distruzione' e la 'violenza' necessaria a compiere tale distruzione. Se la libertà umana si può raggiungere soltanto attraverso la distruzione delle strutture autoritarie e gerarchiche, va da sé che le azioni distruttrici dovranno possedere una forza proporzionata, adeguata, coerente. Naturalmente, prima di procedere nella distruzione bisognerà essere convinti della sua necessità. Finché il popolo continuerà ad avere paure, titubanze, legacci mentali, predisposizioni borghesi, superstizioni e pregiudizi, il processo di distruzione-ricostruzione non avrà mai inizio. Quindi la questione si riduce al volere o non volere raggiungere la libertà umana. E' un bivio netto, perentorio, cui non possiamo voltare le spalle.
Cominciamo col chiarire un fatto assolutamente certo: chi ha già distrutto l'armonia sociale e l'ordine naturale delle cose sono proprio quelle strutture autoritarie e gerarchiche che formano lo 'status', la grande piramide, il cui modello viene riprodotto in ogni àmbito sociale, lavorativo, politico, educativo. Le azioni volte a distruggere lo 'status', perciò, non possono essere ritenute criminali, bensì atti liberatori, diritti naturali, al fine di ricostruire l'armonia sociale e l'ordine naturale delle cose. L'obiettivo è quello di raggiungere la libertà, non scordiamolo, cercando di capire che l'ordine naturale delle cose lo ha stravolto lo Stato, che è un organismo artificiale, militare, autoritario, burocratico, imposto con la forza e con l'inganno. Rispetto alla lunga storia dell'Uomo, lo Stato è un sistema giovanissimo, addirittura neonato.

Ci sono allora due tipi distinti di atti distruttivi:
  1. Quello in atto da parte dello Stato e che va avanti da circa 3000 anni.
  2. Quello che il popolo dovrà impiegare per liberarsi dello Stato, utilizzando una forza adeguata.
Quale dei due atti distruttivi può considerarsi violento? Ambedue. Tutti gli atti distruttivi sono in sé violenti, perché operano una rivoluzione, cioè un capovolgimento degli equilibri. Lo Stato, ad esempio, ha già fatto la sua rivoluzione e continua a farla per preservare se stesso. E tuttavia, la mentalità diffusa registra percettivamente come violente soltanto le azioni distruttive compiute dal popolo o da una parte di esso o da una singola persona appartenente al popolo. Quasi nessuno si accorge della violenza distruttrice dello Stato, dei suoi governi, delle sue strutture, e val la pena ricordare ancora una volta Chomsky: 'Non hanno la minima giustificazione, sono illegittime: l'unico modo per raggiungere la libertà umana è quello di distruggerle'.

Ulteriore sintesi:
  • La violenza dello Stato ha prodotto e produce una rivoluzione tesa a capovolgere (e a mistificare) gli equilibri umani e naturali.
  • La violenza del popolo produrrà una rivoluzione tesa a riportare allo stato originario tutti gli equilibri umani e naturali.
Qual è la violenza più giusta? Qual è la rivoluzione più giusta? Qui la risposta non può che essere quella del popolo. Senonché subentrano le paure, le remore, le prigioni mentali, le sovrastrutture borghesi, cioè tutti quegli elementi di cui si serve lo Stato in sua difesa, innestati nella coscienza del popolo attraverso una propaganda continua, subdola, ferrea, e secondo cui la violenza dello Stato non può e non deve essere percepita come tale, anzi, dev'essere addirittura invocata (legge), difesa, perpetuata dagli stessi sudditi; mentre la violenza del popolo, ancorché blanda rispetto a quella dello Stato, viene dal popolo stesso condannata, additata, perseguita, accusata, vilipesa, assoggettata alla delazione. Ecco il motivo per cui il popolo si reca alle manifestazioni con un bon-ton ridicolo, da processione, con un potenziale di forza che si riduce miserevolmente allo striscione e allo slogan. E' un popolo imbonito che non riesce più a distinguere i tipi di violenza, men che meno i loro scopi e i valori intrinseci contenuti. E' un popolo che non ha più cognizione della libertà e dell'armonia naturale. La condizione di schiavitù è ormai tale per cui il popolo difende il suo 'buon' padrone e condanna i suoi 'cattivi' liberatori (nell'ordine naturale e logico, che non può essere utopia, gli aggettivi si invertono).

In conclusione, per riottenere la libertà occorrono anzitutto queste cose:
  • conoscere il senso perduto di libertà, di armonia sociale e naturale.
  • riconoscere il capovolgimento di tutti gli equilibri naturali.
  • riconoscere lo Stato quale responsabile del capovolgimento degli equilibri naturali.
  • riconoscere la violenza dello Stato.
  • riconoscersi in qualità di sostenitore/trice della violenza dello Stato.
Ciò significa sostanzialmente:
  • Uscire dagli schemi precostituiti e dalle sovrastrutture artificiali costruite ad hoc dalla propaganda.
  • Mettere in discussione tutto quel che viene divulgato attraverso i media.
  • Mettere in discussione i metodi educativi nazionali, oltre che i suoi contenuti.
  • Abbandonare le paure che sono tutte posticce, false, costruite, sovrastrutturali, funzionali alla propaganda di Stato.
  • Informarsi autonomamente su cosa sia l'anarchia, attingendo da fonti non mediate dallo Stato.
  • Sapere che, fra tutti i metodi di gestione sociale, quello statale è il più violento, il più ingiusto, il più crudele, il più fraudolento, il più cruento, il più innaturale.
  • Attivare una forza conseguente, coerente e proporzionata, in grado di annientare la violenza dello Stato e riportare la libertà, la pace, la fratellanza, l'armonia e l'ordine naturale.

* 'Ci sono buone ragioni per pensare che Chomsky sia il più importante intellettuale vivente'.
(New York Times)

'Noam Chomsky è una fonte inesauribile di sapere'.
(The Nation)


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