In questi ultimi anni, da che il fascismo è tornato sotto altre vesti e mentite spoglie, stiamo assistendo a un progressivo e inesorabile indebolimento culturale della società (chiamiamolo pure regresso). Ciò è dovuto principalmente all'azione diseducativa delle televisioni che vengono utilizzate dai governi per scopi propagandistici. Per inciso, i pochi programmi televisivi di 'approfondimento' non approfondiscono un bel niente, semmai, nella maggior parte dei casi, divulgano aspetti storici e scientifici che si possono trovare facilmente nei libri. Ma anche noi non diciamo nulla di nuovo sostenendo che il fascismo, oggi, si avvale di nuovi strumenti comunicativi, ma lo diciamo perché ci viene da riflettere su quelli che vengono definiti ricorsi storici. E su queste riflessioni si basa il post.
Se avessimo potuto chiedere a un cittadino medio dell'antica Roma di autovalutarsi nella propria cultura personale, sicuramente avrebbe affermato di sentirsi soddisfatto del grado di conoscenza acquisita. Ma noi sappiamo che il popolo antico era abilmente tenuto ignorante e distante da un certo tipo di conoscenze. Le biblioteche c'erano, sicuro, ma perché il popolo non se ne serviva più di tanto? Per quale motivo la gente, ai luoghi di cultura, preferiva di gran lunga i circhi, i ludi e i fescennini?
E' un problema la cui comprensione si può desumere anche dai testi di 'Teoria della percezione', là dove si parla di 'tendenza alla semplificazione'. L'essere umano, o meglio il suo cervello, è predisposto naturalmente alla semplificazione delle cose, questo per motivi pratici e anche di sopravvivenza. Un problema complesso viene semplificato fino a che non diventa formula, segno codificato, parola facile. Chi si occupa di comunicazione (visiva e non) conosce questi argomenti, ma conosce anche il rischio che questo comporta. Infatti, la tendenza alla semplificazione nasconde l'insidia della superficialità. C'è il rischio di far crescere coscienze poco attente, ma convinte di possedere una buona cultura, come l'antico romano di prima. Una comunità alla quale viene offerto di scegliere tra un buon libro che spiega la storia dell'Uomo e un attore che la riassume in poche scene, la scelta è scontata: nel 99% dei casi, la comunità sceglie l'attore, anche perché l'attore ci evita la fatica della lettura. La maggior parte degli alunni, del resto, di fronte alla domanda 'quale materia preferisci tra matematica e ginnastica', hanno poco da esitare.
Allora è una questione di offerta formativa? Certo. Ma è anche un problema di educazione alla cultura, dove la capacità di scegliere assennatamente tra le varie opzioni offerte fa la differenza. Altro inciso: tagliare alcune materie scolastiche o ridimensionare i programmi nella scuola pubblica, non aiuta certo ad ampliare o rafforzare il bagaglio culturale dell'individuo; al contrario, lo rende molto più fragile.
Di fronte a un'offerta culturale varia, l'Uomo medio sceglie sempre quella più facile che normalmente è anche la più dilettevole. L'esempio dell'antica Roma ci è utile sotto diversi punti di vista. Prendiamo ad esempio il teatro romano, non è vero che la nobile e colta tragedia non esisteva, Seneca fu forse il più grande tragediografo latino, ma di fronte alla scelta tra commedia e tragedia, il popolo sceglieva la commedia. Di più: scegliendo tra le commedie di Plauto e quelle di Terenzio, la massa andava ad osannare Plauto, il re della trivialità e della bestemmia, della battuta da taverna, mentre trascurava il valore morale delle commedie di Terenzio. Ovvio, le commedie di Terenzio sono scritte in un linguaggio raffinato, i contenuti hanno uno sfondo morale e sono concepite per far ragionare lo spettatore. Troppa fatica. Perché divertirsi ragionando, quando ci si può divertire subito con le battuta da caserma di Plauto? Seneca rimase sulla carta, relegato (e rilegato) nelle biblioteche, le sue tragedie vennero soprattutto lette, non rappresentate.
Tutto ciò serve a dimostrare quanto sia difficile far progredire la cultura di un popolo se gli viene offerto un ventaglio di possibilità culturali di basso profilo e quanto sia facile farlo cadere in una condizione di povertà intellettuale. Un popolo educato al 'panem et circenses' è certamente più governabile, più condizionabile, non possiede strumenti per compiere analisi, nè una coscienza critica autonoma per potersi difendere. Questo aiuta i regimi autoritari a formarsi e a mantenersi.
L'offerta formativa televisiva ricalca queste teorie e queste antiche pratiche, con il risultato nefasto che sappiamo. Nei palinsesti televisivi possono anche esserci programmi di un certo interesse culturale, ma la tendenza alla semplificazione fa in modo che a vincere siano i programmi più diseducativi e inutili, quelli più dilettevoli, facili alla ricezione e alla comprensione. L'èra plautina è tornata (da un bel po') e il ruolo della scuola può far poco di fronte alla forza di un medium come la TV, soprattutto quando anche i genitori, che dovrebbero accompagnare i figli nelle scelte della vita, si abbeverano alla sorgente catodica senza avere alcun'altra fonte di conoscenza delle cose.
Che fare?
Dato che è anche un problema di educazione alla cultura, bisognerebbe anzitutto lavorare nelle scuole per insegnare il valore di certi percorsi formativi e il disvalore di certi altri. Questo dovrebbe essere uno dei compiti degli insegnati, fin dalle elementari. Quanti insegnanti hanno posto questo obiettivo nel piano dell'offerta formativa? Sembra scontato, ma non lo è: un insegnante potrebbe dire infatti che già il fatto di studiare Dante, Michelangelo, Pitagora... basti a fornire al fanciullo strumenti sufficienti alla sua crescita culturale. Ma in che modo vengono somministrate queste conoscenze? Quanta attrattiva ha lo studente rispetto a questi studi? Forse è il caso di intraprendere un percorso propedeutico allo studio, dove l'accento possa essere posto sul valore stesso di questi studi. L'alunno dovrebbe imparare anzitutto a capire l'importanza delle materie scolastiche (tutte) e di certi autori. Rendere appetibile Euclide, Petrarca, Cartesio... non è facile, certo, ma non tentare questa strada significa ricollocare l'individuo in una società povera di cultura e lì farlo marcire, a tutto vantaggio di chi alimenta quotidianamente e volutamente questa povertà.
E' un problema la cui comprensione si può desumere anche dai testi di 'Teoria della percezione', là dove si parla di 'tendenza alla semplificazione'. L'essere umano, o meglio il suo cervello, è predisposto naturalmente alla semplificazione delle cose, questo per motivi pratici e anche di sopravvivenza. Un problema complesso viene semplificato fino a che non diventa formula, segno codificato, parola facile. Chi si occupa di comunicazione (visiva e non) conosce questi argomenti, ma conosce anche il rischio che questo comporta. Infatti, la tendenza alla semplificazione nasconde l'insidia della superficialità. C'è il rischio di far crescere coscienze poco attente, ma convinte di possedere una buona cultura, come l'antico romano di prima. Una comunità alla quale viene offerto di scegliere tra un buon libro che spiega la storia dell'Uomo e un attore che la riassume in poche scene, la scelta è scontata: nel 99% dei casi, la comunità sceglie l'attore, anche perché l'attore ci evita la fatica della lettura. La maggior parte degli alunni, del resto, di fronte alla domanda 'quale materia preferisci tra matematica e ginnastica', hanno poco da esitare.
Allora è una questione di offerta formativa? Certo. Ma è anche un problema di educazione alla cultura, dove la capacità di scegliere assennatamente tra le varie opzioni offerte fa la differenza. Altro inciso: tagliare alcune materie scolastiche o ridimensionare i programmi nella scuola pubblica, non aiuta certo ad ampliare o rafforzare il bagaglio culturale dell'individuo; al contrario, lo rende molto più fragile.
Di fronte a un'offerta culturale varia, l'Uomo medio sceglie sempre quella più facile che normalmente è anche la più dilettevole. L'esempio dell'antica Roma ci è utile sotto diversi punti di vista. Prendiamo ad esempio il teatro romano, non è vero che la nobile e colta tragedia non esisteva, Seneca fu forse il più grande tragediografo latino, ma di fronte alla scelta tra commedia e tragedia, il popolo sceglieva la commedia. Di più: scegliendo tra le commedie di Plauto e quelle di Terenzio, la massa andava ad osannare Plauto, il re della trivialità e della bestemmia, della battuta da taverna, mentre trascurava il valore morale delle commedie di Terenzio. Ovvio, le commedie di Terenzio sono scritte in un linguaggio raffinato, i contenuti hanno uno sfondo morale e sono concepite per far ragionare lo spettatore. Troppa fatica. Perché divertirsi ragionando, quando ci si può divertire subito con le battuta da caserma di Plauto? Seneca rimase sulla carta, relegato (e rilegato) nelle biblioteche, le sue tragedie vennero soprattutto lette, non rappresentate.
Tutto ciò serve a dimostrare quanto sia difficile far progredire la cultura di un popolo se gli viene offerto un ventaglio di possibilità culturali di basso profilo e quanto sia facile farlo cadere in una condizione di povertà intellettuale. Un popolo educato al 'panem et circenses' è certamente più governabile, più condizionabile, non possiede strumenti per compiere analisi, nè una coscienza critica autonoma per potersi difendere. Questo aiuta i regimi autoritari a formarsi e a mantenersi.
L'offerta formativa televisiva ricalca queste teorie e queste antiche pratiche, con il risultato nefasto che sappiamo. Nei palinsesti televisivi possono anche esserci programmi di un certo interesse culturale, ma la tendenza alla semplificazione fa in modo che a vincere siano i programmi più diseducativi e inutili, quelli più dilettevoli, facili alla ricezione e alla comprensione. L'èra plautina è tornata (da un bel po') e il ruolo della scuola può far poco di fronte alla forza di un medium come la TV, soprattutto quando anche i genitori, che dovrebbero accompagnare i figli nelle scelte della vita, si abbeverano alla sorgente catodica senza avere alcun'altra fonte di conoscenza delle cose.
Che fare?
Dato che è anche un problema di educazione alla cultura, bisognerebbe anzitutto lavorare nelle scuole per insegnare il valore di certi percorsi formativi e il disvalore di certi altri. Questo dovrebbe essere uno dei compiti degli insegnati, fin dalle elementari. Quanti insegnanti hanno posto questo obiettivo nel piano dell'offerta formativa? Sembra scontato, ma non lo è: un insegnante potrebbe dire infatti che già il fatto di studiare Dante, Michelangelo, Pitagora... basti a fornire al fanciullo strumenti sufficienti alla sua crescita culturale. Ma in che modo vengono somministrate queste conoscenze? Quanta attrattiva ha lo studente rispetto a questi studi? Forse è il caso di intraprendere un percorso propedeutico allo studio, dove l'accento possa essere posto sul valore stesso di questi studi. L'alunno dovrebbe imparare anzitutto a capire l'importanza delle materie scolastiche (tutte) e di certi autori. Rendere appetibile Euclide, Petrarca, Cartesio... non è facile, certo, ma non tentare questa strada significa ricollocare l'individuo in una società povera di cultura e lì farlo marcire, a tutto vantaggio di chi alimenta quotidianamente e volutamente questa povertà.
5 commenti:
Il tema è complesso e l'hai ben investigato. Purtroppo ciò che si insegna a scuola (quel poco) è già, tranne qualche eccezione, di scarsissima qualità. Ad esempio, le scienze (inclusa la matematica) sono scienze che credono di descrivere tutto, ma non spiegano niente. Sono scienze degradate, immiserite. Discorso analogo vale per la filosofia deturpata a tal punto da essere oggi un'accozzaglia di nozioni senza senso.
Ciao
Come darti torto, Zret? Chissà perché (domanda retorica) le materie scientifiche vengono propagandate anche in tv come unica verità, come addirittura un dogma?
Mala genia.....solo ventre....già' gli antichi greci ne parlavano. Saro' onorato di rispondere a tutte le tue domande,ciao. Scusa se rispondo in ritardo ma devo cercare bar o ristoranti con connessione Internet e,qui non sono molti,ciao.
Capisco perfettamente. Fai con calma, io non mi sposto di qua :-)
Beh! c'è da dire che la prima biblioteca pubblica è del rinascimento ed è la marciana di Venezia. Detto questo il senso del discorso regge ugualmente.
Sono daccordo in parte per quanto riguarda la responsabilità della scuola. Penso che sia al giorno d'oggi improponibile il lavoro di insegnamento e sinceramente capisco( anche se non posso approvare) quegli insegnanti che hanno gettato la spugna e si limitano e ripetere la lezioncina meccanicamente. Probabilmente lo farei anch'io. Dico probabilmente perchè poi c'è la variabile "studenti" che magari ti porta ad affrontare delle lezioni con modalità del tutto inusuali. E' vero covrebbe essere la scuola il luogo deputato alla cultura, ma non solo, anzi. Forse la scuola deve solamente dare le basi per la cultura, la cultura poi si forma nei bar, nei circoli, nel luogo di lavoro. Sopratutto le piazze una volta avevano questa peculiarità. Tutti i luighi di ritrovo hanno una funzione culturale. Ed infatti, sottilmente, stanno cercando di farci incontrare il meno possibile, rendendoci i luoghi di aggregazione difficili da raggiungere. Trovo che sia questo più che la scuola ad avere responsabilità nel degrado culturale. A sculo non si fa cultura la si impara. A scuola si devono porre le basi dell' uomo ( o donna) che sarà domani. Mentre lo studente è a scuola sono altri gli uomini( o donne) che devono fare cultura è assurdo demandare agli studenti il compito di altri.
Beninteso concordo con tutto il resto e con buona parte degli argomenti del blog.
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