Dicono che Rom e Sinti rimangano ai bordi delle città perché non sanno adattarsi alle leggi degli Stati, che non vogliano seguire i regolamenti dei Comuni e delle persone autoproclamatesi 'civilizzate' (normate). Si dicono tante cose inutili e false sui Rom, tranne il fatto forse più importante, cioé che ogni popolo nomade, proprio perché è tale da sempre, è l'unico ad essere in grado di passare terre e confini sapendosi adattare ad ogni società anche ostile, troppo spesso ostile. Questa capacità non è da tutti.
Il viaggio secolare e continuo di un gruppo di famiglie nomadi, autocostituite in società, possiede la magia dell'adattamento più di ogni altro essere umano, una magia che si rinnova e che -anche quella- si adatta, luogo dopo luogo: il clima, la gente, la lingua, la moneta, le necessità contingenti... tutto cambia per non far cambiare nulla all'interno della comunità nomade.
E il tema del viaggio perenne del nomade, con quel suo perenne sapersi fermare e adattare, diventa l'oggetto di studio per Fabrizio De Andrè quando ha voluto scrivere questa canzone-poesia. Per compiere questo lavoro, Fabrizio chiese e lesse una trentina di libri (non dozzinali e consueti) sulla cultura nomade, e quello che ne è scaturito è un'opera di sintesi straordinaria, dove ogni strofa racchiude un pezzo di cultura Rom. Non è facile capire questa canzone -lo dicono in tanti- ed è logico che sia così, poiché la comprensione del testo deve passare necessariamente attraverso la comprensione del mondo e della storia dei Rom. Se pensate che quanto scritto fin ora è dettato soltanto dalla riflessione compiuta su una sola frase della canzone, è tutto dire.
'Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura'. Questa frase è l'espressione sintetica di quel che abbiamo detto, del continuo andare di terra in terra, di Stato in Stato, del saper interpretare i sistemi culturali di ogni comunità (saper leggere il libro del mondo), del sapersi adattare alla lingua di ogni popolo (con parole cangianti), e spesso senza neanche saper leggere e scrivere (e nessuna scrittura).
Allora sarebbe meglio soffermarsi sulla comprensione delle persone che fanno parte del nostro vivere, prima di emettere stolte sentenze fondate sulla retorica e sul luogo comune. Se possedessimo soltanto un decimo della capacità di analisi e di comprensione dei Rom, ma anche solo un decimo dell'anarchia di Fabrizio De Andrè, sicuramente vivremmo tutti molto meglio, magari senza più confini fisici e mentali.
Il viaggio secolare e continuo di un gruppo di famiglie nomadi, autocostituite in società, possiede la magia dell'adattamento più di ogni altro essere umano, una magia che si rinnova e che -anche quella- si adatta, luogo dopo luogo: il clima, la gente, la lingua, la moneta, le necessità contingenti... tutto cambia per non far cambiare nulla all'interno della comunità nomade.
E il tema del viaggio perenne del nomade, con quel suo perenne sapersi fermare e adattare, diventa l'oggetto di studio per Fabrizio De Andrè quando ha voluto scrivere questa canzone-poesia. Per compiere questo lavoro, Fabrizio chiese e lesse una trentina di libri (non dozzinali e consueti) sulla cultura nomade, e quello che ne è scaturito è un'opera di sintesi straordinaria, dove ogni strofa racchiude un pezzo di cultura Rom. Non è facile capire questa canzone -lo dicono in tanti- ed è logico che sia così, poiché la comprensione del testo deve passare necessariamente attraverso la comprensione del mondo e della storia dei Rom. Se pensate che quanto scritto fin ora è dettato soltanto dalla riflessione compiuta su una sola frase della canzone, è tutto dire.
'Saper leggere il libro del mondo con parole cangianti e nessuna scrittura'. Questa frase è l'espressione sintetica di quel che abbiamo detto, del continuo andare di terra in terra, di Stato in Stato, del saper interpretare i sistemi culturali di ogni comunità (saper leggere il libro del mondo), del sapersi adattare alla lingua di ogni popolo (con parole cangianti), e spesso senza neanche saper leggere e scrivere (e nessuna scrittura).
Allora sarebbe meglio soffermarsi sulla comprensione delle persone che fanno parte del nostro vivere, prima di emettere stolte sentenze fondate sulla retorica e sul luogo comune. Se possedessimo soltanto un decimo della capacità di analisi e di comprensione dei Rom, ma anche solo un decimo dell'anarchia di Fabrizio De Andrè, sicuramente vivremmo tutti molto meglio, magari senza più confini fisici e mentali.
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