Se volete una risposta tecnica e storica, censurata dai libri, allora dovete CLICCARE QUI, altrimenti potete continuare a leggere la versione di Gaber.
Sarà capitato di porsi la domanda in oggetto. E se ve la siete posta, vuol dire che siete già sulla strada corretta per capire che lo Stato è un artifizio, qualcosa di inventato, una cosa aliena da noi. Anche per questo siamo soliti dire che 'lo Stato non siamo noi'. Ma -scusate il bisticcio di parole- come è stato imposto lo Stato? E perché?
Risponde Giorgio Gaber con un suo brano-metafora dal titolo 'Noci di cocco'. Analizziamo insieme il testo e poi ascoltiamo il recitato direttamente da Gaber.
Un coro di voci fuori campo si lamenta e ripete 'Ho fame'. Questo coro è la metafora della società originaria, orizzontale, senza padroni nè schiavi, libera, pura. Ci troviamo tutti su un'isola, metafora del mondo. Una voce recitante (Gaber) sottolinea che in quell'isola 'non c'è niente da mangiare'. Questa frase non è stata inserita a caso, infatti non è vero che non c'è niente da mangiare, è che la folla non riesce a vedere il cibo perché è troppo impegnata a lamentarsi. 'Poveri noi. Così uniti, così solidali, tutti uguali senza niente da mangiare'! Qui Gaber sta sottolineando la condizione di uguaglianza, ma anche la tristezza dovuta a un apparente bisogno di cibo. Qualcuno utilizzerà questo sentimento di tristezza (ma anche di paura) per creare un falso bisogno di Stato? Ma certo, vediamo in che modo.
Mentre gli altri non fanno altro che lamentarsi (senza agire per il bene della collettività), uno tra la folla scorge dei palmizi con tante noci di cocco (metafora del benessere) e avverte gli altri: 'Uhè! Uhè! Vedo delle noci di cocco. Sì, ci sono moltissime noci di cocco'! A quell'avviso tutti gli altri, logicamente, sono felici e dicono: 'Bene! Evviva! Abbiamo trovato le noci di cocco'! La folla viene concepita da Gaber come un branco di ingenui che ripetono automaticamente 'Abbiamo trovato le noci di cocco'!
A quel punto, vista l'ingenuità di tutti, il tizio scopritore delle noci prende una decisione e puntualizza perentoriamente: 'No. No. Ho trovato le noci di cocco! Eh sì, le noci di cocco le ho trovate io, quindi me le mangio io'! A quelle parole, segue l'istanza naturale della folla che esclama: 'Ma anche noi abbiamo fame'! Ed è a questo punto che, con scaltrezza, il tizio comincia a fare dei distinguo, a imporre la bugia secondo la quale devono necessariamente esistere divisioni sociali:
Tizio: 'No vedete ragazzi facciamo un ragionamento. Nella vita non tutti gli uomini sono uguali: ci sono uomini normali e uomini d’ingegno. Non a caso le noci di cocco le ho trovate io'!
Folla: 'Ma cosa te ne fai di tante noci di cocco? Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non è il numero che conta è l’intelligenza dell’individuo'!
Ma la folla si accorge di essere una moltitudine, una forza capace di riportare tutto ad un ordine naturale e originario, di spodestare quel tizio così arrogante ed egoista:
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non crederete mica di farmi paura con delle minacce vero'?
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Comincia la fase progettuale della costruzione dello Stato, che comporta confini nazionali e forze armate per difendere il bottino e il potere acquisito con l'inganno. Il tizio riflette, rimugina, elabora, ragiona tra sè e sè:
'È vero! Io sono solo e loro sono tanti. Bisogna che li calmi. Certo non con le noci eh? Bisogna che inventi qualcosa, qualcosa di giusto, di civile. Guai se cominciamo con la violenza. Il rispetto! Il rispetto di quello che siamo, di quello che abbiamo, qualcosa di serio, di importante, di democratico! Ci sono, ho trovato! Invento lo Stato'!
Da quel momento si instaurano tutte le gerarchie, la folla viene posta in basso, ma contemporaneamente viene illusa che lo Stato è cosa buona e civile, quindi viene indottrinata con la propaganda continua, tanto che, con l'ingenuità di prima, la folla comincia a cantare l'inno nazionale. In coro.
Sarà capitato di porsi la domanda in oggetto. E se ve la siete posta, vuol dire che siete già sulla strada corretta per capire che lo Stato è un artifizio, qualcosa di inventato, una cosa aliena da noi. Anche per questo siamo soliti dire che 'lo Stato non siamo noi'. Ma -scusate il bisticcio di parole- come è stato imposto lo Stato? E perché?
Risponde Giorgio Gaber con un suo brano-metafora dal titolo 'Noci di cocco'. Analizziamo insieme il testo e poi ascoltiamo il recitato direttamente da Gaber.
Un coro di voci fuori campo si lamenta e ripete 'Ho fame'. Questo coro è la metafora della società originaria, orizzontale, senza padroni nè schiavi, libera, pura. Ci troviamo tutti su un'isola, metafora del mondo. Una voce recitante (Gaber) sottolinea che in quell'isola 'non c'è niente da mangiare'. Questa frase non è stata inserita a caso, infatti non è vero che non c'è niente da mangiare, è che la folla non riesce a vedere il cibo perché è troppo impegnata a lamentarsi. 'Poveri noi. Così uniti, così solidali, tutti uguali senza niente da mangiare'! Qui Gaber sta sottolineando la condizione di uguaglianza, ma anche la tristezza dovuta a un apparente bisogno di cibo. Qualcuno utilizzerà questo sentimento di tristezza (ma anche di paura) per creare un falso bisogno di Stato? Ma certo, vediamo in che modo.
Mentre gli altri non fanno altro che lamentarsi (senza agire per il bene della collettività), uno tra la folla scorge dei palmizi con tante noci di cocco (metafora del benessere) e avverte gli altri: 'Uhè! Uhè! Vedo delle noci di cocco. Sì, ci sono moltissime noci di cocco'! A quell'avviso tutti gli altri, logicamente, sono felici e dicono: 'Bene! Evviva! Abbiamo trovato le noci di cocco'! La folla viene concepita da Gaber come un branco di ingenui che ripetono automaticamente 'Abbiamo trovato le noci di cocco'!
A quel punto, vista l'ingenuità di tutti, il tizio scopritore delle noci prende una decisione e puntualizza perentoriamente: 'No. No. Ho trovato le noci di cocco! Eh sì, le noci di cocco le ho trovate io, quindi me le mangio io'! A quelle parole, segue l'istanza naturale della folla che esclama: 'Ma anche noi abbiamo fame'! Ed è a questo punto che, con scaltrezza, il tizio comincia a fare dei distinguo, a imporre la bugia secondo la quale devono necessariamente esistere divisioni sociali:
Tizio: 'No vedete ragazzi facciamo un ragionamento. Nella vita non tutti gli uomini sono uguali: ci sono uomini normali e uomini d’ingegno. Non a caso le noci di cocco le ho trovate io'!
Folla: 'Ma cosa te ne fai di tante noci di cocco? Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non è il numero che conta è l’intelligenza dell’individuo'!
Ma la folla si accorge di essere una moltitudine, una forza capace di riportare tutto ad un ordine naturale e originario, di spodestare quel tizio così arrogante ed egoista:
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non crederete mica di farmi paura con delle minacce vero'?
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Comincia la fase progettuale della costruzione dello Stato, che comporta confini nazionali e forze armate per difendere il bottino e il potere acquisito con l'inganno. Il tizio riflette, rimugina, elabora, ragiona tra sè e sè:
'È vero! Io sono solo e loro sono tanti. Bisogna che li calmi. Certo non con le noci eh? Bisogna che inventi qualcosa, qualcosa di giusto, di civile. Guai se cominciamo con la violenza. Il rispetto! Il rispetto di quello che siamo, di quello che abbiamo, qualcosa di serio, di importante, di democratico! Ci sono, ho trovato! Invento lo Stato'!
Da quel momento si instaurano tutte le gerarchie, la folla viene posta in basso, ma contemporaneamente viene illusa che lo Stato è cosa buona e civile, quindi viene indottrinata con la propaganda continua, tanto che, con l'ingenuità di prima, la folla comincia a cantare l'inno nazionale. In coro.
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