Avevo un tavolino che era pure sbilenco, sono nato che era già così, mi ci ero abituato. Ora, sono anni che un tizio, a poco a poco, scusa dopo scusa, ha cominciato a tagliare le gambe del tavolino, adesso infatti ne ha tre, l'altra se l'è venduta a un pezzetto alla volta e i soldi se li è intascati. Ora il tizio viene a dirmi che il tavolo rischia di non stare più in piedi, dice anche che vuole da me dei soldi se voglio riavere il tavolino con quattro gambe. Solo che siccome i miei soldi non gli bastano più, il tizio ha cominciato a dirmi che il tavolino forse è meglio che lui lo dia a qualcun altro di sua conoscenza, un privato, che lo metterà sicuramente a posto. Così ho perduto il tavolino e pure i soldi. Dice il tizio, insieme ad altri tizi, che prossimamente ci saranno delle elezioni.
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domenica 2 dicembre 2012
La sanità, la scuola, e altri manicaretti
Avevo un tavolino che era pure sbilenco, sono nato che era già così, mi ci ero abituato. Ora, sono anni che un tizio, a poco a poco, scusa dopo scusa, ha cominciato a tagliare le gambe del tavolino, adesso infatti ne ha tre, l'altra se l'è venduta a un pezzetto alla volta e i soldi se li è intascati. Ora il tizio viene a dirmi che il tavolo rischia di non stare più in piedi, dice anche che vuole da me dei soldi se voglio riavere il tavolino con quattro gambe. Solo che siccome i miei soldi non gli bastano più, il tizio ha cominciato a dirmi che il tavolino forse è meglio che lui lo dia a qualcun altro di sua conoscenza, un privato, che lo metterà sicuramente a posto. Così ho perduto il tavolino e pure i soldi. Dice il tizio, insieme ad altri tizi, che prossimamente ci saranno delle elezioni.
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mercoledì 21 novembre 2012
Il pescatore e il laureato
Una barca arriva nel porto di una piccola comunità costiera. La barca è carica di pesce. C'è un signore elegante al porto, e vedendo quel carico di pesce vuole complimentarsi col pescatore e gli chiede quanto tempo abbia impiegato per pescarlo.
- Non molto tempo, signore elegante.
- Ma allora perché non sei rimasto più tempo in mare per prendere ancora più pesce?
- Perché questo è esattamente il pesce che serve alla mia famiglia, non ne serve altro.
- E cosa fai tu, pescatore, il resto del giorno?
- Mi sveglio quando voglio, mi diverto, gioco con i miei figli, sto con la mia compagna, vado a visitare gli amici, beviamo del vino e suoniamo la chitarra. Ho una vita ben riempita.
- Ascoltami, pescatore, io sono laureato e posso aiutarti. Dovresti pescare più a lungo, prendere più pesci e venderli per guadagnare dei soldi, e con i soldi guadagnati potrai comprare una barca più grande. E con una barca più grande potrai pescare molto più pesce e guadagnerai il necessario per comprare altre barche, fino a possedere una bella flotta. Invece di vendere il tuo pesce a un intermediario, potresti venderlo direttamente all'industria e persino aprirne una tua di industria. In questo modo potrai anche lasciare il tuo piccolo villaggio per andare nella capitale, da dove potresti dirigere tutti i tuoi affari.
- Non molto tempo, signore elegante.
- Ma allora perché non sei rimasto più tempo in mare per prendere ancora più pesce?
- Perché questo è esattamente il pesce che serve alla mia famiglia, non ne serve altro.
- E cosa fai tu, pescatore, il resto del giorno?
- Mi sveglio quando voglio, mi diverto, gioco con i miei figli, sto con la mia compagna, vado a visitare gli amici, beviamo del vino e suoniamo la chitarra. Ho una vita ben riempita.
- Ascoltami, pescatore, io sono laureato e posso aiutarti. Dovresti pescare più a lungo, prendere più pesci e venderli per guadagnare dei soldi, e con i soldi guadagnati potrai comprare una barca più grande. E con una barca più grande potrai pescare molto più pesce e guadagnerai il necessario per comprare altre barche, fino a possedere una bella flotta. Invece di vendere il tuo pesce a un intermediario, potresti venderlo direttamente all'industria e persino aprirne una tua di industria. In questo modo potrai anche lasciare il tuo piccolo villaggio per andare nella capitale, da dove potresti dirigere tutti i tuoi affari.
- Quanto tempo richiede tutto ciò?
- beh, diciamo 15 /20 anni.
- E dopo?
- Caro pescatore, dopo sarà il momento più bello e interessante, perché potrai quotare in borsa le tue società e guadagnare dei milioni a palate.
- Dei milioni? E dopo?
- Dopo andrai in pensione e potrai vivere in serenità in un piccolo villaggio costiero, potrai svegliarti quando vorrai, potrai divertirti, giocare con i nipoti, stare con la tua compagna, bere del vino con gli amici e suonare la chitarra.
- beh, diciamo 15 /20 anni.
- E dopo?
- Caro pescatore, dopo sarà il momento più bello e interessante, perché potrai quotare in borsa le tue società e guadagnare dei milioni a palate.
- Dei milioni? E dopo?
- Dopo andrai in pensione e potrai vivere in serenità in un piccolo villaggio costiero, potrai svegliarti quando vorrai, potrai divertirti, giocare con i nipoti, stare con la tua compagna, bere del vino con gli amici e suonare la chitarra.
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sabato 10 novembre 2012
Malaria
Che cos'è quest'aria maleodorante, stantìa, che ricorda la morte? E cosa sono queste bestie che la respirano, talmente abituate al malodore da indignarsi soltanto dello scalpitio della bestie ribelli accanto? Là, nella stalla operosa a marchio controllato si foraggia l'inumano. Dall'alto di una feritoia sempre illuminata scende un tipo di biada che giova solo al fiele delle bestie e al portafogli dell'allevatore tafano. Noi le vediamo rantolare in un angolo della stalla, e poi illuse spostarsi all'altro angolo, e nell'altro ancora, ripetendo il giro di continuo, per loro questa è libertà, finché non muoiono di illusione o di macello, mentre i cuccioli avranno imparato lo stesso andare, da angolo ad angolo, per tutta la vita, respirando la stessa malaria e osannando la feritoia illuminata dispensatrice di biada avvelenata. Noi le vediamo venirci minacciose incontro, con le corna del padrone, a non volere ascoltare il grido nostro di libertà, a non voler sapere che fuori da quell'infame trappola l'aria salubre e la vita attendono anche loro. Son bestie addestrate alla religione della feritoia, che è tutto ciò che vogliono, tutto ciò che conoscono, tutto ciò a cui ambiscono pur nella lamentazione continua. La feritoia è stata chiara e convincente: 'un fuori non esiste, e se esiste vi fa male'. Son bestie guardiane della loro stessa schiavitù. Che aria malsana, sa proprio di pena e di morte!
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martedì 28 agosto 2012
Il treno dei sogni. Chi scende si salva
A un certo punto della meravigliosa storia umana è arrivato qualcuno a convincerci che il suo treno (roba mai vista prima) avrebbe garantito ricchezze materiali per tutti, e fertili oasi, e paradisi. I popoli, volenti o nolenti, salirono su quel treno, ma nessuno avrebbe potuto più scenderne senza subire feroci punizioni. E' un treno su cui solo i macchinisti possono condurre e di cui solo loro conoscono la mèta. I passeggeri subiscono le decisioni del capo-macchinista di turno, schierandosi ora col nero, ora col rosso, ora col blu, ora con lo zebrato, e credono così di fare la cosa giusta, anche perché nel frattempo i passeggeri originari sono morti e al loro posto ci sono i nipoti, nati sul treno, creduto perciò una sorta di 'ventre paterno', una condizione normale. Il treno sta viaggiando da 3000 anni, di benefici non se ne sono mai visti, e i passeggeri sono quelli che spalano carbone convinti che non vi sia altra alternativa (se non un nuovo capo-macchinista, magari con una tuta nuovissima), e vengono tenuti in scompartimenti separati, perciò ostili tra loro, in condizioni deplorevoli, simili a polli d'allevamento. Dall'altoparlante il macchinista ogni tanto esclama: 'niente paura, abbiate fiducia, qui nel locomotore si lavora per voi e per la vostra sicurezza, per la vostra salute, per il vostro benessere... 'Attenzione, occorre il vostro aiuto, c'è un imprevisto anche se era previsto, c'è da togliere un elefante dallo scompartimento 7, è irrequieto e ci appesantisce. Forza con quelle braccia, fatevi onore, siate responsabili, fatelo per la libertà, per la crescita, per la democrazia, affinché questo treno continui la sua rotta verso i vostri sogni'. E da 3000 anni, nonostante i dolori, i sacrifici, i disastri, le ingiustizie, e l'evidente fallimento, i passeggeri continuano a salire su quel treno, a volerlo, a lodarne la nuova carrozzeria, profondamente ignari e schiavi nel loro perenne lamento.
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venerdì 23 dicembre 2011
A tutto l'equipaggio della 'nave dei folli', compresi i passeggeri
Nell'iconografia e nella tradizione borghese, a natale i bimbi si raccolgono intorno ai nonni per ascoltare fiabe e favole, storielle e proverbi. Vicino c'è sempre un focolare acceso e l'abete illuminato. Un bel quadretto di serenità che si allontana sempre più dalla realtà.Invece, ben lungi da questa immagine patinata e retorica, dedichiamo a tutti voi un racconto che a noi è piaciuto per la sua carica metaforica che accompagna il lettore fin nella realtà della sua stessa coscienza.
Non sappiamo quanti di voi ne capiranno la morale. E non sappiamo neppure se, una volta individuata la morale, riuscirete a dar libero sfogo al grido della vostra coscienza che vuole schiaffeggiarvi per poi esplodere di vita traendovi dal periglio.
Come sapete non copincolliamo mai nulla, vi mandiamo direttamente al sito che ha pubblicato il racconto che si intitola 'La nave dei folli' di Theodore W. Kaczynski.
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venerdì 9 settembre 2011
I pipistrelli nella chiesa di San Pantaleo
Nel piccolissimo comune di Ranzo, in provincia di Imperia, c'è la chiesa di San Pantaleo dove vivono alcuni pipistrelli. In questi luoghi ameni, ricchi di aspra vegetazione incolta, è facile trovare anfratti e antiche costruzioni dove albergano questi simpatici 'topi volanti' con i canini lucenti e affilati. Sono utili all'ambiente e all'Uomo, anche perché si nutrono di zanzare.Molti pensano che questi animali si avventino sui capelli e non li mollino più, ma questa è probabilmente una leggenda. A San Pantaleo questi esseri dal volo zigzagato e vibrante vivono addirittura vicino ad un favo di calabroni, anch'esso all'interno della chiesa, e la convivenza tra le due specie sembra essere pacifica, dal momento che il favo è gigantesco e i pipistrelli sono vispi e felici. Bisognerebbe prendere esempio da loro.
Se ne dicono tante sui pipistrelli, ad esempio che suggano il sangue. Sarà, ma a noi sembra che le vere sanguisughe siano piuttosto altri esseri, in questa società dove la dottrina politica e quella cattolica si incontrano magnificamente nelle stanze dei compromessi, a danno dei cittadini che vengono prima imboniti e poi derubati di danari e di diritti. Tra un pipistrello e un prete noi preferiamo di gran lunga il pipistrello, questo è certo. Anzi, a pensarci bene, a San Pantaleo l'unica cosa degna della purezza e della grandezza della Natura sono proprio i pipistrelli e i calabroni.

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giovedì 25 agosto 2011
Come educare i nostri figli?
Le favole ufficiali sono zeppe di riferimenti deleteri per ogni bambino, suggeriscono modelli sbagliati. Predisporre alla pace e alla fratellanza è un compito che le favole ufficiali non possono assolvere. I re, le regine, i prìncipi e i poveri, i cavalieri armati, gli orchi e le streghe cattive... inoculano nell'infante germi di odio, di vendetta, e lo abituano ad adorare le armi, le autorità, i loro bastoni; lo abituano alla delega e alla gerarchia, origine fascista di ogni male sociale. Proviamo invece con quest'altra favola.
C'era una volta uno Stato che aveva deciso di fare la guerra a un altro Stato. Il primo Stato cominciò la sua propaganda per convincere il popolo ad armarsi e partire in guerra. Anche il secondo Stato cominciò a fare la sua propaganda. Ambedue gli Stati dicevano ai loro rispettivi popoli che la bandiera è sacra, che la patria è sacra, che i cittadini dell'altro Stato sono brutti, cattivi e pericolosi. Ogni Stato esaltava le proprie qualità e denigrava quelle dell'altro Stato. Così, alla lunga, ognuno dei due popoli si convinse di essere migliore e superiore dell'altro, che bisognasse davvero difendersi dall'altro popolo, che ammazzare lo straniero fosse davvero un atto di libertà.
Quando i capi dei due Stati ritennero i loro popoli abbastanza indottrinati e pronti per la guerra, i generali formarono gli eserciti e prepararono le strategie d'attacco. Fu deciso persino chi dovesse attaccare per primo e in quale modo i capi dovessero essere salvati ed eventualmente risarciti alla fine della guerra, naturalmente tutte le spese erano a carico del popolo, ma quest'ultimo era troppo imbonito dalla propaganda per considerarle un vero problema dopo la guerra.
Intanto, nelle città del primo Stato, da qualche tempo, potevano vedersi affissi dei manifesti che esortavano alla pace, alla fratellanza, alla solidarietà. Dicevano che l'altro popolo non era diverso, che l'idea che fosse cattivo era solo propaganda di Stato, una menzogna che avrebbe fatto arricchire la casta e condotto alla morte tanti fratelli e sorelle. Una 'A cerchiata', simbolo della libertà, della pace e della giustizia sociale, era alla fine posta in calce ad ogni manifesto. Anche se quello Stato si autodefiniva 'democratico' e diceva che i suoi cittadini erano liberi, c'era una legge che obbligava ogni persona a pagare dei soldi anche per poter pubblicare un proprio pensiero, perciò quei manifesti venivano affissi di notte, clandestinamente. Molti di quei manifesti venivano strappati al mattino dai vigili, ma quelli che sfuggivano al controllo dell'autorità locale contenevano una tale forza di pace che i cittadini che li leggevano non potevano fare a meno di pensare che la guerra, in fin dei conti, era un male e che la libertà non consisteva nel difendere la patria, bensì nel capire che tutti gli individui sono uguali, che non c'era nessun nemico oltre frontiera. Curiosamente, anche nelle città dell'altro Stato c'erano affissi manifesti clandestini con una 'A cerchiata' in calce, e che dicevano le stesse cose.
Le truppe schierate attesero l'ordine, che non tardò. Ci fu un grande parapiglia iniziale dal momento che i generali dei due eserciti non si capirono sulle modalità di inizio. Poi l'ordine fu di posizionare i soldati nelle trincee, si prospettava una carneficina di fratelli. La prima linea rimase per due giorni a studiare 'il nemico' di fronte, questo era l'ordine, poi sparare alla prima occasione favorevole. Così avvenne, e un soldato fu colpito gravemente alla testa. I suoi compagni lo trassero dal fuoco nemico, lo videro in condizioni pietose, rantolava, il sangue gli sgorgava come una fontana e nella trincea non v'erano bende a sufficienza, tanto che il suo amico, in lacrime, si strappò la divisa per farne strisce emostatiche. Gli morì tra le braccia mentre nell'ultimo suo afflato pronunciava la parola 'fratelli'. E quando venne aperto il suo zaino, i compagni di trincea trovarono, ben piegato, uno di quei manifesti con la 'A cerchiata'. Lo lessero tutti, piansero e capirono. Poi i soldati presero una decisione in autonomia.
Col sangue del soldato morto scrissero un cartello che diceva: 'ieri eravamo fratelli, perché non esserlo oggi e per sempre'? Di nascosto del comandante alzarono quel cartello con un bastone per farlo leggere alla linea opposta. Passarono alcuni minuti, poi anche dalla linea opposta si scorse un bastone con qualcosa appeso, sembrava uno straccio con delle scritte sopra, ma non si riusciva a leggere. Allora l'amico del soldato morto si prese coraggio e uscì dalla trincea. Ad ogni passo si aspettava una pallottola. Nessuno gli sparò. E quando fu a qualche metro da quello straccio, si accorse che in un angolo c'era stampata un 'A cerchiata', la stessa del manifesto che aveva il suo amico nello zaino. Si stupì profondamente, poi nei suoi occhi si potè leggere una gioia da tempo dimenticata. Allora urlò: 'fratello'! L'altro uscì dalla trincea. Si sorrisero e si scambiarono le sigarette. Tutti i soldati, da una parte e dall'altra, urlarono di gioia e uscirono dalle rispettive trincee, infischiandosene degli ordini dei comandanti.
La storia venne poi scritta in un libro affinché tutti potessero trarne insegnamento, ma le autorità degli Stati ne vietarono come al solito la pubblicazione. Buon pro' vi faccia.
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racconti e metafore
giovedì 11 agosto 2011
A proposito di accuse contro manifestanti e anarchici

Vi raccontiamo una storia che vuole essere una metafora per spiegare la situazione in cui viviamo e il nostro modo di reagire.
Nei campi di cotone in Louisiana, Dubamba lavorava tutto il giorno con i suoi compagni in catene. Erano pesanti le catene, ed anche il bastone del padrone. Ogni volta che il ritmo della raccolta rallentava, gli scagnozzi del padrone posti a guardia degli schiavi non esitavano a dar di frusta. Erano già 16 anni che Dubamba lavorava in Louisiana, era stato trasportato con una nave dalla sua amata Africa, era stato rapito, venduto, costretto con la forza a imbarcarsi per un viaggio lungo e doloroso.
Nelle notti di luna, nonostante il sonnno dovuto alla fatica del giorno, Dubamba non dormiva, era più forte la rabbia del sonno. Dubamba progettava la sua liberazione e quella dei suoi compagni, sapeva di poter contare solo sulla sua rabbia, pensava che se avesse avuto modo di procurarsi un'arma per uccidere gli scagnozzi, avrebbe potuto dare la libertà a tutti, anche ai cani del campo.
Il mattino seguente il padrone era furioso, si vedeva che gli affari per lui andavano male, aveva già licenziato sei dei suoi scagnozzi negli ultimi tre mesi. Quel mattino il padrone fece chiamare Dubamba nella tenda da campo. Per un'occasione così speciale le catene gli furono tolte e Dubamba potè anche lavarsi il viso con il sapone. Nella tenda Dubamba ascoltò in silenzio il padrone che gli diede un nuovo ordine: 'da oggi in poi tu e i tuoi compagni lavorerete con una razione ridotta di cibo'. A quel punto Dubamba protestò con forza: 'signore, voi non potete fare questo, noi tutti siamo già molto stanchi, nell'ultima settimana sono morti due compagni per la fatica e la fame'! Il padrone non volle sentire altre parole e rincarò con forza: 'a partire da oggi, anche le razioni di acqua saranno ridotte per voi'!
Dubamba sentì esplodere dentro di sé una rabbia mai provata prima, guardò le sue mani libere dalle catene, quelle erano le sole armi di cui disponeva, le usò. Con un pugno violentissimo spaccò la mandibola del padrone che cadde svenuto, le guardie reagirono prontamente, ma la rabbia di Dubamba fu ancora più lesta; a una delle due guardie Dubamba spaccò l'osso del collo, l'altra fuggì per dare l'allarme. Dubamba prese un fucile e corse fuori dalla tenda per liberare gli altri dalle catene, ma ad attenderlo c'erano almeno venti scagnozzi pronti a reagire. Il fucile aveva solo due colpi utili. Che fare? Dubamba pensò che con quei due colpi avrebbe potuto uccidere due scagnozzi, oppure sparare sulle catene di due compagni. Scelse quest'ultima soluzione. Ma Dubamba non era esperto di quel tipo di armi, in Africa non esistevano. 'Libera me', supplicò un compagno che intanto gli era corso incontro con le mani tese. Dubamba prese la mira e...
Ora, cari amici ed amiche, la storia potrebbe avere due finali. Il primo finale è quello che ogni persona di buon senso spera di leggere. Il secondo finale, invece, è quello che molti di voi fanno succedere davvero, perché imbevuti di pregiudizi e con la visione alterata delle cose.Finale 1
... colpì esattamente l'anello della catena del compagno, il quale si liberò e potè dare man forte a Dubamba. Gli altri schiavi, osservando tutta la scena, si presero di orgoglio e di coraggio e molti di loro, a colpi di pietra, riuscirono a spezzare da soli le loro catene. In breve tempo gli schiavi scatenati ebbero la meglio sugli scagnozzi e nel giro di mezz'ora tutti furono liberi, cani compresi, e fuggirono.
Finale 2
... il colpo partì, ma il proiettile rimbalzò sul metallo e finì per bucare la scodella di alluminio per il rancio che ogni schiavo teneva sempre legata al fianco. Allora gli altri compagni, tranne qualcuno, cominciarono a insultare Dubamba e ad accusarlo: 'vigliacco, sei un criminale, sei un vandalo, e adesso come fa il nostro compagno senza la sua scodella'? Molti compagni abbandonarono Dubamba e tornarono a lavorare, Dubamba venne catturato e condannato a morte. Nel campo ancora oggi qualcuno ricorda e dice 'hanno fatto bene'.
E chi vuol capire capisca. Buon pro' vi faccia.
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racconti e metafore
sabato 14 maggio 2011
Il cittadino-falena
Soprattutto in periodo elettorale si può assistere a quella che può definirsi la miserevole esistenza dei cittadini. E' come stare ad osservare le falene che, anziché librarsi il più lontano possibile dalla lampadina, vi svolazzano attorno, vi sbattono contro, attirate da una luce che prima o poi finirà per abbrustolirle. E quando osserviamo quei voli non possiamo fare a meno di chiederci retoricamente: ma perché le falene sono così stupide? Certo esse sono attratte dalla luce, ma a cosa servirà mai la luce di una lampadina se poi questa si rivelerà fatale?I cittadini sono come le falene, con qualche aggravante. I cittadini non si rendono conto che le belle parole profuse dai politici, soprattutto in campagna elettorale, si comportano esattamente come la lampadina per la falena. Ai cittadini non importa nulla se alla fine si bruceranno, qualunque sia il colore di quella luce. I cittadini continuano a svolazzare e a sbattere contro quelle luci, quando invece avrebbero ben altre fonti di vita e di luce a portata di mano.
In periodo elettorale le lampadine si accendono con una luce più intensa e il battito d'ali diventa più frenetico, così come gli stordimenti e le bruciature. Ma niente, i cittadini non imparano neppure dalla loro stessa storia, non vogliono volare altrove.
Da qui un pensiero che sa di commiserazione: l'esistenza dei cittadini si inscrive nel banale, piccolo, aberrante e monotono volo destra-sinistra. Questo dunque sarebbe il senso della loro vita, un andirivieni su un percorso prestabilito e imposto che non dà mai libertà, piuttosto prigionia e tremende scottature. Davvero miserevole la 'vita' di queste persone, convinte peraltro che quel percorso segnato da un solo bivio sia il loro tutto, il loro infinito, il loro futuro e quello per i loro figli. E si scannano pure tra loro, difendono la propria scelta di volo. Ci sono quelli del volo a destra, quelli del volo a sinistra, quelli del volo... basta, non ci sono altri voli, per i cittadini-falena non esistono altre possibilità, neppure se gliele fai notare. Anzi, quando quei cittadini si accorgono che esiste un'altra via, ben più luminosa, si incazzano, non vogliono saperne.
E la cosa peggiore in tutto questo non è la triste esistenza dei cittadini rinchiusa nell'unica scelta obbligata, ma che questi stessi cittadini costringono nel loro piccolo mondo di schiavitù anche quelli che vorrebbero e saprebbero volare altrove, liberi e sereni.
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Realismo
martedì 9 novembre 2010
Quando Berlusconi cadrà...
...Che potrebbe essere il titolo di una canzone, scritta sulla metrica e sulla musica di 'Quando l'anarchia verrà' (se fate una parodia, mettetela su Youtube e mandateci il link, mi raccomando). Invece il titolo del post vuole essere una speranza, un augurio e una prefigurazione satirica. Come sarebbe a dire satirica? E' molto semplice: rivedendo il film 'Nuovo cinema Paradiso', ci è sembrato naturale fare due accostamenti. Seguiteci.Il primo accostamento è una metafora. La demolizione del cinema, nel film di Tornatore, potrebbe rappresentare il dissolvimento, lo sgretolamento della 'maggioranza' alla quale stiamo assistendo da troppo tempo, giorno dopo giorno, come un processo di dissolvimento caotico inesorabile. Questa metafora, tra l'altro, fa il paio con il crollo (vero) dell'edificio pompeiano, avvenuto qualche giorno fa, simbolo di un'Italia governata male, ormai ridotta in macerie, come il centro storico dell'Aquila, ma anche come tutto il tessuto civico di un popolo che chiede lavoro e diritti, ma riceve solo mazzate.
Il secondo accostamento è un pensiero riferito alla malattia mentale di Berlusconi, o meglio, alle malattie, poiché Berlusconi è certamente malato di protagonismo e di un deleterio senso del possesso. Ossessionato da queste due componenti psico-patologiche, ci immaginiamo (e ci auguriamo) un Berlusconi caduto in disgrazia, esattamente come il poveraccio demente che, nel film, crede addirittura che la piazza sia sua e ne rivendica la proprietà. Il poveraccio del film è sicuramente più umano di Berlusconi, perciò il nostro è davvero un augurio, affinché Silvio possa rinsavire e umanizzarsi, impoverendo. Buona visione.
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Satira
venerdì 15 ottobre 2010
Come è nato lo Stato?
Se volete una risposta tecnica e storica, censurata dai libri, allora dovete CLICCARE QUI, altrimenti potete continuare a leggere la versione di Gaber.Sarà capitato di porsi la domanda in oggetto. E se ve la siete posta, vuol dire che siete già sulla strada corretta per capire che lo Stato è un artifizio, qualcosa di inventato, una cosa aliena da noi. Anche per questo siamo soliti dire che 'lo Stato non siamo noi'. Ma -scusate il bisticcio di parole- come è stato imposto lo Stato? E perché?
Risponde Giorgio Gaber con un suo brano-metafora dal titolo 'Noci di cocco'. Analizziamo insieme il testo e poi ascoltiamo il recitato direttamente da Gaber.
Un coro di voci fuori campo si lamenta e ripete 'Ho fame'. Questo coro è la metafora della società originaria, orizzontale, senza padroni nè schiavi, libera, pura. Ci troviamo tutti su un'isola, metafora del mondo. Una voce recitante (Gaber) sottolinea che in quell'isola 'non c'è niente da mangiare'. Questa frase non è stata inserita a caso, infatti non è vero che non c'è niente da mangiare, è che la folla non riesce a vedere il cibo perché è troppo impegnata a lamentarsi. 'Poveri noi. Così uniti, così solidali, tutti uguali senza niente da mangiare'! Qui Gaber sta sottolineando la condizione di uguaglianza, ma anche la tristezza dovuta a un apparente bisogno di cibo. Qualcuno utilizzerà questo sentimento di tristezza (ma anche di paura) per creare un falso bisogno di Stato? Ma certo, vediamo in che modo.
Mentre gli altri non fanno altro che lamentarsi (senza agire per il bene della collettività), uno tra la folla scorge dei palmizi con tante noci di cocco (metafora del benessere) e avverte gli altri: 'Uhè! Uhè! Vedo delle noci di cocco. Sì, ci sono moltissime noci di cocco'! A quell'avviso tutti gli altri, logicamente, sono felici e dicono: 'Bene! Evviva! Abbiamo trovato le noci di cocco'! La folla viene concepita da Gaber come un branco di ingenui che ripetono automaticamente 'Abbiamo trovato le noci di cocco'!
A quel punto, vista l'ingenuità di tutti, il tizio scopritore delle noci prende una decisione e puntualizza perentoriamente: 'No. No. Ho trovato le noci di cocco! Eh sì, le noci di cocco le ho trovate io, quindi me le mangio io'! A quelle parole, segue l'istanza naturale della folla che esclama: 'Ma anche noi abbiamo fame'! Ed è a questo punto che, con scaltrezza, il tizio comincia a fare dei distinguo, a imporre la bugia secondo la quale devono necessariamente esistere divisioni sociali:
Tizio: 'No vedete ragazzi facciamo un ragionamento. Nella vita non tutti gli uomini sono uguali: ci sono uomini normali e uomini d’ingegno. Non a caso le noci di cocco le ho trovate io'!
Folla: 'Ma cosa te ne fai di tante noci di cocco? Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non è il numero che conta è l’intelligenza dell’individuo'!
Ma la folla si accorge di essere una moltitudine, una forza capace di riportare tutto ad un ordine naturale e originario, di spodestare quel tizio così arrogante ed egoista:
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Tizio: 'Non crederete mica di farmi paura con delle minacce vero'?
Folla: 'Tu se solo e noi siamo in tanti'!
Comincia la fase progettuale della costruzione dello Stato, che comporta confini nazionali e forze armate per difendere il bottino e il potere acquisito con l'inganno. Il tizio riflette, rimugina, elabora, ragiona tra sè e sè:
'È vero! Io sono solo e loro sono tanti. Bisogna che li calmi. Certo non con le noci eh? Bisogna che inventi qualcosa, qualcosa di giusto, di civile. Guai se cominciamo con la violenza. Il rispetto! Il rispetto di quello che siamo, di quello che abbiamo, qualcosa di serio, di importante, di democratico! Ci sono, ho trovato! Invento lo Stato'!
Da quel momento si instaurano tutte le gerarchie, la folla viene posta in basso, ma contemporaneamente viene illusa che lo Stato è cosa buona e civile, quindi viene indottrinata con la propaganda continua, tanto che, con l'ingenuità di prima, la folla comincia a cantare l'inno nazionale. In coro.
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lunedì 26 luglio 2010
Basta con questo teatro, è ora di bruciare il copione
Nei canovacci della Commedia dell'Arte arriva sempre il momento della scaramuccia, dove due amici litigano per qualche affare andato male o per chissà quale tradimento. A noi poco importa delle liti dentro il Pdl, perché noi osserviamo il problema politico da un'angolazione più ampia e questa nostra posizione ci permette di valutare quanto il sistema di potere oppressivo sia destinato a rimanere incrostato sulla pelle dei cittadini, come un tumore che alla fine li ucciderà definitivamente. Non cambia nulla, in sostanza. Lo status quo rimane e si perpetua anche in virtù di queste scaramucce. Di fatto, sembra che i problemi reali del Paese siano quelli relativi ai dissensi interni dei partiti. Le tv ci sguazzano dentro alla grande: 'Colombina ha litigato col fidanzato e Zanni fa il suo lazzo per conquistarla, ma il capitano non ci sta e pretende da lui sei monete d'oro'. Questa è la politica italiana! Intanto gli spettatori di questa tragicommedia stringono la cinghia e anche i denti.Ma signori, sveglia diamine! Ma guardate ad esempio la storiella del federalismo! Ci fanno intendere che sarà da approvare, ma intanto è già applicato nel taglio delle risorse agli enti locali, i quali si rifaranno ben presto sulle spalle dei cittadini con vari tagli ai servizi e aumenti delle tariffe locali. Apriamo gli occhi, orsù! Che poi questo federalismo... a cosa serve se non a piazzare nei posti di comando locali amici e parenti? L'Italia sarà una confederazione di amici al potere, facenti capo a un unico potere mafioso centrale. Bella roba! Piuttosto, cerchiamo di mettere a fuoco il vero scopo della Lega che è la secessione (con inevitabile guerra civile), obiettivo che la Lega può raggiungere solo a piccoli passi, uno dei quali è proprio il federalismo che si nutre anche di una buona dose di razzismo.
Quella che ci viene proposta non è politica, ma autoreferenza continua! Propaganda! Se non ci fossero le televisioni a perpetuare il vacuum, questi 'signori' del Parlamento non sarebbero altro che inutili e anonime maschere di un teatrino in disuso per comparse dilettanti!
Cosa ci importa se Berlusconi e Bossi litigano con Fini? Era evidente che, prima o poi, si sarebbe aperta la questione 'federalismo contro unità nazionale', un ossimoro che vive da sempre in seno a questo governo e che è stato tenuto soffocato fino ad oggi. Non è che la prima parte di uno scontro più grande, ahinoi popolare. E' il preludio e la prefigurazione di quello che potrebbe succedere tra futuri nazionalisti e secessionisti. Bella prospettiva, davvero tragica! E allora perché questo non ci interessa più di tanto?
Noi pensiamo che per raggiungere l'obiettivo del vero cambiamento sia necessario andare oltre a queste fasi di passaggio e tenere sotto osservazione il fine ultimo, ciò per cui val la pena lottare. Perciò la questione non è soffermarsi sulle liti, ma su quello che dai litigi nascerà (o potrebbe nascere) e non è nulla di buono. Se vogliamo un cambiamento radicale, non possiamo perdere tempo a ragionare sui 'passaggi intermedi', occorre attivarsi subito affinché la commedia non si trasformi in tragedia, bisogna anticipare il finale per cambiarlo, saper leggere l'ultima pagina del copione e apportare le modifiche necessarie al testo o, meglio ancora, bruciare tutto il copione! Stop! Fine dei giochi! La commedia è finita! Attori a casa!
Ma se nonostante tutti i problemi gli italiani continuano ad assistere ai lazzi dei protagonisti in questo squallido teatrino, senza neanche intuire come sarà il finale (come la Storia ci ha insegnato), pagando caro il biglietto, allora è tutto inutile, nessuno fermerà il gioco e il potere costituito si autorigenererà in mille altre repliche.
Qui è tutto da sbaraccare, prendiamone coscienza! E facciamolo adesso, prima del finale tragico, prima che sia troppo tardi. Cosa pensate che faccia la mafia al potere? Beneficenza? Cosa pensate che faccia il potere politico costituito? Filantropia? Il potere, con i suoi apparati, è per sua stessa natura oppressione. Liberiamoci!
PS: date uno sguardo al nostro sondaggio, sotto il blogroll
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mercoledì 7 luglio 2010
Io anarchico: storia di una presa di coscienza
Da bambino ascoltavo certi discorsi di mio nonno: la fame, la guerra, le tasse, la disoccupazione, il governo... non ci capivo niente, piuttosto pensavo meglio a mangiare il gelato che lui era solito comprarmi. Non sapevo che quei discorsi avrebbero fatto breccia nella mia coscienza, comunque non riuscivo a delineare chiaramente il contesto, non ero in grado di fare una sintesi, era come se vedessi la sagoma di un volto del quale non riuscivo a distinguere i connotati. No, mio nonno non era un anarchico, tutt'altro, egli aveva servito con onore la cosiddetta patria. Però c'era una cosa che avevo ben capito: tutta quella folla di gente chiamata 'italiani' e che identificava la Patria era governata da 'qualcuno'. Perciò io avevo a che fare con due genitori, quattro nonni, un fratello maggiore e questo misterioso 'qualcuno'. Ce n'era abbastanza, fin troppo. Ma siccome questo 'qualcuno' non mi dava ceffoni e non mi rimproverava, lo ignoravo alquanto. Tuttavia c'era, e successivamente mi resi conto che non era meno violento di mio padre.A scuola venne il momento di studiare la Storia, ma era una confusione di date e di nomi da imparare a memoria e non mi piaceva, non c'era niente da fare, non capivo il senso di tutte quelle guerre. In realtà avevo capito molto più di quanto i miei voti non evidenziassero. Avevo capito che le persone andavano in guerra e che si ammazzavano sul campo di battaglia. Avevo capito che queste persone chiamate 'soldati' erano comandate da 'qualcuno' che aveva una divisa sempre pulita e gli stivali sempre lucidi, un 'qualcuno' che normalmente era un generale o un imperatore. Avevo capito che questi generali e questi imperatori volevano conquistare zone del mondo chiamate Stati e che nella cartina geografica queste zone erano colorate con colori diversi. Il giallo ora vuole entrare nel verde, mi dicevo, ripassando la lezione. Ma un giorno con la penna colorai tutti gli stati di blu, cancellando definitivamente ogni confine. Fu una trovata geniale per la mia coscienza.
Crescendo avevo capito che quel famigerato e fantomatico 'qualcuno' aveva un volto, lo potevo vedere in TV, da Jader Jacobelli, dove facce sconosciute parlavano sempre di cose astruse. E avevo anche capito che quel 'qualcuno', cioè il governo, era mutevole in virtù -o per colpa- di elezioni nazionali. Ah, le elezioni! Questo meccanismo perfetto, democratico, diritto inalienabile, ma anche dovere di ogni cittadino. C'era quasi da fidarsi. Però mi domandavo se anche tutti quei giovani in corteo là fuori, con i cartelli e gli slogan contro il governo, avessero votato. Sicuramente sì, ma avevano perso. Oppure avevano vinto, ma il loro rappresentante al governo non aveva esaudito i loro desideri. Si insediò nella mia testa un grande dubbio e una domanda: è giusto che la minoranza debba sottomettersi al volere di una maggioranza, seppur momentanea?
Ma la DC rimase al potere per decenni, la chiamavano 'la balena bianca', come Moby Dick, e la minoranza ha continuato ad esistere, quindi ad essere sottomessa per decenni. Però non sapevo se quell'immensità di gente per strada che chiedeva pane e lavoro, casa e libertà, fosse davvero la minoranza, perché nel mio piccolo orizzonte di ragazzino quella era davvero una fiumana di gente. Fattostà che io ho sempre visto persone protestare per qualcosa. C'erano dei simboli sulle bandiere rosse, simboli di lavoro, ce n'erano anche graffiati sui muri, sui manifestini ciclostilati distribuiti fuori dalle scuole. Sapevo che erano simboli del comunismo, c'era una sezione del partito in paese, con tanto di falce e martello come insegna. Nei cortei si vedevano anche altri simboli, altre bandiere, altri acronimi. Quella gente che manifestava non poteva non essere ascoltata, chiedeva delle cose sacrosante! Allora le elezioni servivano a questo? A creare fazioni nel popolo? Ecco perché c'erano tutti quei partiti! Ognuno di quei partiti, in fin dei conti, non aspettava altro che un consenso popolare, al fine di ottenere una delega per il governo del Paese, per essere quel fantomatico 'qualcuno' e quindi per creare nuovamente una minoranza e una maggioranza. Non mi piaceva molto.
A 15 anni entrai per la prima volta in una sezione di partito, Democrazia Proletaria. Andai con un compagno di scuola. Era una specie di scantinato, si stava stretti e si leggeva Marx. Era un bell'ambiente, umanamente accogliente, molte ragazze. Una cosa non capivo e cioè se ero lì per le ragazze, perché c'era anche il mio compagno di scuola o perché era davvero necessario capire come funzionasse un partito. La mia coscienza l'avrebbe capito in seguito. Intanto alle manifestazioni bazzicavo anche in altri gruppi, soprattutto comunisti e radicali, e mi accorgevo della sottile -ma tenace- divisione tra tutti questi gruppi (nonostante l'intento comune), qualcuno mi rimproverava di essere una banderuola al vento, un po' qua, un po' là. Io non sentivo di 'appartenere' veramente a nessuno dei gruppi, pur condividendone le istanze, le piattaforme e tutte le proteste. Allora si fece più forte la convinzione di prima e cioè che ogni gruppo, ogni partito non aspettasse altro di possedere il potere, di prendere una delega dal popolo per andare a fare il 'qualcuno' al governo. Non mi piaceva. Anche l'architettura dei partiti non mi piaceva, c'era, in nuce, un'idea di divisione data dalla gerarchia. Insomma, capi ovunque. Se il PCI avesse vinto le elezioni, il suo segretario si sarebbe seduto sullo scranno più alto del governo e la storia si sarebbe ripetuta: altre minoranze, altre divisioni, altre proteste... un altro 'qualcuno' avrebbe imposto le sue regole a tutti. Non mi piaceva. Non mi piaceva l'idea di imposizione, di gerarchizzazione, più che le idee del partito in sè. In questa architettura, freudianamente, ci ritrovavo la stessa autorità di mio padre, quindi anche la prepotenza di mio fratello, 'il maggiore'. Doveva pur esserci una via d'uscita, una soluzione!
Dell'anarchia avevo le idee comunemente accolte, molto dopo mi accorsi che erano idee sbagliate. Avrei dovuto pensarci prima. D'altra parte, farsi un'idea di qualcosa soltanto per un 'sentito dire' o perché c'è una sorta di sterile tradizione orale, avrebbe dovuto insospettirmi già prima, cioè prima di incontrare un vero anarchico, su un treno, alla fine degli anni '70. Non mi spiegò l'anarchia, assolutamente no. Parlammo di varie cose, ma non di politica in senso stretto. Non sapevo neanche che lui fosse anarchico. Il lungo viaggio conciliò la chiacchiera e, tra un discorso e l'altro, non so bene quando e in che modo, avevo forse espresso un concetto che lo colpì in senso positivo, ma non me ne accorsi subito. Fu quando scese dal treno che mi resi conto... quando mi disse: 'piacere di aver conosciuto un anarchico come me'. Cosa? Un anarchico? Io?
Probabilmente anarchici si nasce. E molto probabilmente lo siamo tutti. Come direbbe Totò, 'lo nascemmo'. Ma l'anarchismo, anche se insito nell'essere umano, va coltivato. C'è il rischio che venga sommerso dalle convenzioni e dalle convinzioni, dai luoghi comuni costruiti ad hoc e imposti da un sistema che plasma le coscienze, facendole crescere in maniera distorta, non lasciandole libere nel loro processo evolutivo naturale. Cominciai a documentarmi, ma sempre con diffidenza, anche perché non potevo dare totale credito a uno sconosciuto che mi aveva identificato come anarchico. Ma il tarlo del dubbio, a quel punto, c'era. Trovai dei libri in biblioteca, non molti a dire il vero, ma sufficienti per un primo approccio, cauto, attento, minuzioso. Gli argomenti poterono essere letti soltanto dopo aver liberato la testa dalle sovrastrutture imposte dagli ingranaggi del sistema, ma una volta liberato quell'ostacolo, la lettura proseguì naturalmente, diretta verso il cuore.
Dopo queste letture, nelle quali ho incontrato inevitabilmente Errico Malatesta, ho cominciato a scrivere anche io, soprattutto per me stesso, per poter fissare meglio certi concetti e svilupparli, ampliarli secondo la mia personalità. Ma non sono un teorico dell'anarchismo, non ho nulla da insegnare a nessuno e questa è solo una piccola storia che ne esclude tante altre, volutamente lasciate fuori scena, tutte parallele a questo percorso, alcune contraddittorie.
Certamente nell'anarchismo ho incontrato delle contraddizioni, ma queste sono logiche, fisiologiche, perché sono l'espressione di una vitalità sempre accesa, vibrante, presente. Le contraddizioni non sono necessariamente un male, servono a superare ostacoli e il pericolo della fossilizzazione e della storicizzazione. Perciò l'anarchia può, anzi deve, esprimersi in ogni direzione, esaltata dal carattere di ognuno. Siamo tutti diversi ma tutti fraternamente uniti nell'unico ideale di libertà, contro ogni fantomatico 'qualcuno' che governa. Per il bene dell'umanità.
E.D.G.
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venerdì 11 giugno 2010
E' tempo di spodestarlo con la forza
Apriamo il post con una metafora, paragonando il governo a un energumeno che sta di fronte a una porta e non lascia passare la gente. La porta rappresenta l'ingresso per i diritti dei cittadini. Nessuno può accedervi e ogni giorno la porta è sempre più chiusa. Quell'energumeno è stato messo lì, a guardia della porta, proprio dai cittadini che però sono stati ingannati. Infatti l'energumeno aveva promesso loro la libertà, il lavoro, il benessere... invece aveva ben altre intenzioni, voleva salvaguardare solo se stesso e i suoi amici. Ora la gente è fuori dalla porta, a soffrire, a volere libertà, lavoro, benessere...Cosa fa la gente, di solito, quando qualcuno le ostruisce un ingresso? Prima di tutto prova con le buone: 'mi scusi, mi fa passare per cortesia'? Il più delle volte la cortesia paga. Ma se l'energumeno non vuole proprio far passare la gente? Dopo un po' ci si innervosisce fino a creare una rissa, anche violentissima, si mette da parte l'energumeno e si entra.
Ora ci chiediamo se i diritti negati ai cittadini italiani stiano provocando nervosismi presso la gente o se, invece, la gente è ancora alla prima fase del 'mi scusi, mi fa passare per cortesia'? Quel che sta avvenendo sono le due cose messe insieme. La gente è innervosita, ma continua a chiedere il permesso per entrare. L'azione dei media supporta l'energumeno e nasconde il nervosismo generalizzato, sicché il singolo cittadino incazzato crede che 'gli altri' non siano nervosi quanto lui e si tiene rispettoso, spesso muto.
Badate bene, qui siamo di fronte a un governo talmente arrogante e despota che tutti gli scioperi e le proteste della gente risultano ancora essere un 'mi scusi, mi fa passare per cortesia'? Quanti scioperi ci sono stati? Quanti i sit-in? Quante manifestazioni? L'indignazione è capillare, ma l'energumeno è ancora lì, armato, a guardia delle proprie esclusive libertà e non lascia entrare.
Parliamoci più chiaramente, con questo governo scioperi e proteste non servono a niente, occorre un'azione di forza. I media sono asserviti al regime, i sindacati si sono venduti o sono deboli. La stampa chiede libertà, ma non ha mai dato risalto -ad esempio- alle infinite, grandissime, potenti proteste del mondo della scuola, attualmente in opera in tutta Italia. Notizie che dovrebbero stare in prima pagina tutti i santi giorni, invece... silenzio stampa.
Anche le varie voci istituzionali di opposizione sono volutamente smorzate e qualche segno di indignazione nelle trasmissioni come 'Annozero' o 'Ballarò' non sono altro che un ennesimo 'mi scusi, mi fa passare per cortesia'? Roba insignificante che fa il solletico all'energumeno.
Ma la stampa chiede libertà. L'avrà o non l'avrà, in ultima analisi poco importa, il risultato non cambierà, l'energumeno continuerà a rimanere sulla porta, la gente fuori dai propri diritti. Tutto è diventato ormai un grottesco gioco delle parti recitato a dovere, dove persino tra la gente fuori dalla porta ci sono attori pagati per far la loro parte (la parte dei rappresentanti del popolo). Il buono e il cattivo costruiscono il gioco scenico, ma la pièce è stata scritta da Tomasi di Lampedusa ('quello del Gattopardo'), sicché mai nulla cambierà.
E' tempo di spodestare l'energumeno con la forza. E' tempo di spodestare i finti rappresentanti del popolo, strappar loro la maschera. E' tempo di smascherare anche certi giochi sporchi della stampa ufficiale. E' tempo di risveglio delle coscienze, di sapersi uniti nell'indignazione. E' tempo di lasciar da parte i propri orticelli e le minchiate imbonitrici della tv. E' tempo di Rivoluzione.
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mercoledì 31 marzo 2010
La quarta fase del monologo satirico di Daniele Luttazzi
Nel testo originale di Luttazzi non era prevista una quarta fase, logico, normalmente la satira si ispira a fatti già accaduti. Ma adesso ci siamo, oggi possiamo aggiornare quel testo alla luce degli ultimi accadimenti politici. Certo, le cose precipitano con una velocità... ma in certe brutte esperienze è forse meglio darsi una mossa e finirla lì, anche se noi sappiamo che in quella terza fase gli italiani preferiscono crogiolarsi e indugiare nel loro passivo godimento.Dopo la sconfitta della sinistra alle regionali, Berlusconi ha chiesto a Bersani di unirsi a lui per attuare le riforme. Avete già capito. E Bersani, naturalmente, non si lascia scappare un'occasione così ghiotta.
Entra in scena il tritagonista, con ruolo attivo e inizia la quarta fase. Ora, non si sa bene quale sia la posizione preferita da Bersani, ma la scelta è ampia; per un politico di professione il kamasuthra è un breviario tascabile già ben assimilato e testato. L'unica cosa certa è che anche Bersani si divertirà. In realtà, tutti si divertiranno in questo amplesso triangolare, anche gli italiani, che sono stati proprio loro a chiamare il terzo, perché la sola sodomia dopo un po' annoia.
Questa è la fase più divertente, dove la sperimentazione e il godimento possono raggiungere vette impensabili. Vai a sapere, magari gli italiani nel bel mezzo dell'amplesso esprimono anche il desiderio di essere legati, ammanettati, appesi su una croce di chiodi, frustati. In questi casi non si va per il sottile e non si fanno complimenti, colui che si trova più vicino al sadico strumento lo usa, mentre l'altro continua nelle operazioni politiche, attuando ogni punto del programma.
Uno studio scientifico dimostra che la reiterata partecipazione a performances di questo tipo induce a una sorta di dipendenza psicologica e questo ci dà conferma della millenaria predisposizione italica alla sottomissione. Chi prova certe ebrezze, poi non ne può più fare a meno e lo sapeva bene Giambattista Vico che, invano, cercò di avvisare gli italiani.
Quanto durerà questo rapporto? E chi può saperlo? Anche le forme di cessazione del rapporto possono essere tante: eiaculazione precoce, i vicini di casa battono contro il muro e gridano 'basta, vogliamo dormire', un'importante partita di calcio alla tv, il tacchino che brucia nel formo... fino all'infarto di uno dei partecipanti. Riguardo all'infarto, c'è da dire che è molto raro che accada, ma non lo si può escludere a priori. Ecco, almeno quello non auspichiamolo agli italiani, almeno quello evitiamoglielo!
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