mercoledì 30 marzo 2011

Lettera aperta al potere giudiziario

Ci rivolgiamo a coloro che nelle Corti di giustizia, nei tribunali, operano nell'esercizio della valutazione degli atti umani, assolvendo o condannando in nome di tutto un popolo e per conto di una legge che dovrebbe essere uguale per tutti.
Noi qui potremmo anche evidenziare i numerosi aspetti contraddittori che connotano il vostro operato, a partire dal fatto che la vostra legge non è mai stata uguale per tutti, che i vari distinguo esistono ed esisteranno fintanto che il popolo sarà tormentato da sperequazioni sociali ed economiche, che sull'interpretazione della legge avete piantato l'albero della discordia umana e dell'ingiustizia, ecc. Ma in questo caso noi vogliamo essere più specifici, toccando la corda dell'etica di cui voi, signori giudici, dite di vantare primati e persino di esserne servitori, in virtù di codici di antico Diritto. E anche sulla parola 'Diritto' ci sarebbe da puntualizzare, e molto, se non altro perché chi è costretto ad abbandonarsi nelle mani di un uomo che lo giudica, sente tutto il peso di una Storia di uomini fallaci gravare sulla propria esistenza: non c'è nessun supremo Diritto nell'errore e nel relativo, a meno che voi non torniate a spacciare la vostra legge come parola ispirata e dettata da un dio.
Ma se la legge vive ormai dentro una sua dimensione laica, essendo essa passata anche attraverso il filtro illuminista del 'dovere civile', allora ci preme darvi un avviso. Da molti anni la società è sferzata da derive anti etiche che nulla hanno a che fare con le vere esigenze umane che -anzi- soffocano quelle necessità che sono proprie di un'esistenza dignitosa. Stiamo scivolando nei vari baratri dell'autodistruzione della coscienza: l'istruzione pubblica viene gestita e normata sulla base di un orribile disegno che la vuole sterile, svilita, annientata della capacità di offrire alle nuove generazioni gli strumenti per l'autodifesa intellettuale; le personalità degli individui sono intrappolate negli squallidi modelli mediatici contemporanei che dispensano messaggi poco edificanti per lo sviluppo di un individuo nella sua interezza. Vogliamo rimanere solo su questi due esempi, l'istruzione pubblica e i mass-media, non procediamo nell'analisi di altri àmbiti (relazioni sociali, ecologia, servizi, mercato e finanza, relazioni politiche internazionali...). In sostanza, la nostra società è palesemente indirizzata verso un impoverimento culturale, anche culturale, che si accompagna a una carenza di etica intesa come responsabilità comune per il progresso degli uomini e delle donne. Per progresso vogliamo intendere l'affermazione continua della persona in quanto essere vivente con tutte le sue esigenze di vita -non di sopravvivenza- e le sue peculiarità di autonomia e di 'pondus' che servono a costruire contesti umani non alienati e alienanti.
Voi avete una gravosa responsabilità che noi non vi invidiamo, quella di decidere e di interpretare i vostri codici. E a questa vostra facoltà siete tenuti a far ricorso nelle vostre sentenze. In questi ultimi anni siete stati chiamati a giudicare parte del potere legislativo dello Stato e ancora oggi alla vostra sbarra sfilano coloro che scrivono e scriveranno il destino della società. Quale indirizzo dare alla società futura, quale connotazione culturale, dipende adesso anche da voi. E domandiamo: di fronte agli imputati eccellenti, farete ricorso al vostro vanto relativo ad un'etica legislativa? Oppure, come già avvenuto, abiurerete alla deontologia lasciando che gli imputati tornino a distruggere quel che rimane di un contesto già troppo imbarbarito? Abbiate l'accortezza di porvi la questione eminentemente etica sul 'dove vogliamo andare', avendo sempre di fronte l'immagine di questa società disfatta e corrotta non certo per causa dei cittadini che le leggi, semmai, le subiscono fin dai tempi di Hammurabi.
In coerenza con il nostro ideale, non auguriamo una pena detentiva per nessuno, quella pena che annienta vieppiù la libertà e che abbrutisce, ma per coloro che legiferano nei governi, per coloro che palesemente costringono interi popoli nella prigione di uno squallore sociale per un altrettanto squallido tornaconto personale, ci permettiamo di suggerire una sentenza in grado di allontanarli definitivamente dall'esercizio delle loro funzioni istituzionali e decisionali. L'etica obbliga a scelte coraggiose e coerenti ai bisogni della società. Domandatevi ancora di cosa abbia bisogno questa società e ogni suo individuo, e su questo bisogno abbiate il coraggio di decidere, quindi di recidere la mala radice. Non si scambino queste parole per un appello o per una preghiera, esse rappresentano un suggerimento sul significato etico che voi stessi avete dato al vostro ruolo. Noi siamo consapevoli che la rivoluzione popolare non passa mai attraverso i tribunali e che in Italia la rivoluzione per un'autogestione del potere da parte del popolo è ben lungi dal potersi verificare.

Immagine: particolare de 'La morte di Marat' di J. L. David

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