Le favole ufficiali sono zeppe di riferimenti deleteri per ogni bambino, suggeriscono modelli sbagliati. Predisporre alla pace e alla fratellanza è un compito che le favole ufficiali non possono assolvere. I re, le regine, i prìncipi e i poveri, i cavalieri armati, gli orchi e le streghe cattive... inoculano nell'infante germi di odio, di vendetta, e lo abituano ad adorare le armi, le autorità, i loro bastoni; lo abituano alla delega e alla gerarchia, origine fascista di ogni male sociale. Proviamo invece con quest'altra favola.
C'era una volta uno Stato che aveva deciso di fare la guerra a un altro Stato. Il primo Stato cominciò la sua propaganda per convincere il popolo ad armarsi e partire in guerra. Anche il secondo Stato cominciò a fare la sua propaganda. Ambedue gli Stati dicevano ai loro rispettivi popoli che la bandiera è sacra, che la patria è sacra, che i cittadini dell'altro Stato sono brutti, cattivi e pericolosi. Ogni Stato esaltava le proprie qualità e denigrava quelle dell'altro Stato. Così, alla lunga, ognuno dei due popoli si convinse di essere migliore e superiore dell'altro, che bisognasse davvero difendersi dall'altro popolo, che ammazzare lo straniero fosse davvero un atto di libertà.
Quando i capi dei due Stati ritennero i loro popoli abbastanza indottrinati e pronti per la guerra, i generali formarono gli eserciti e prepararono le strategie d'attacco. Fu deciso persino chi dovesse attaccare per primo e in quale modo i capi dovessero essere salvati ed eventualmente risarciti alla fine della guerra, naturalmente tutte le spese erano a carico del popolo, ma quest'ultimo era troppo imbonito dalla propaganda per considerarle un vero problema dopo la guerra.
Intanto, nelle città del primo Stato, da qualche tempo, potevano vedersi affissi dei manifesti che esortavano alla pace, alla fratellanza, alla solidarietà. Dicevano che l'altro popolo non era diverso, che l'idea che fosse cattivo era solo propaganda di Stato, una menzogna che avrebbe fatto arricchire la casta e condotto alla morte tanti fratelli e sorelle. Una 'A cerchiata', simbolo della libertà, della pace e della giustizia sociale, era alla fine posta in calce ad ogni manifesto. Anche se quello Stato si autodefiniva 'democratico' e diceva che i suoi cittadini erano liberi, c'era una legge che obbligava ogni persona a pagare dei soldi anche per poter pubblicare un proprio pensiero, perciò quei manifesti venivano affissi di notte, clandestinamente. Molti di quei manifesti venivano strappati al mattino dai vigili, ma quelli che sfuggivano al controllo dell'autorità locale contenevano una tale forza di pace che i cittadini che li leggevano non potevano fare a meno di pensare che la guerra, in fin dei conti, era un male e che la libertà non consisteva nel difendere la patria, bensì nel capire che tutti gli individui sono uguali, che non c'era nessun nemico oltre frontiera. Curiosamente, anche nelle città dell'altro Stato c'erano affissi manifesti clandestini con una 'A cerchiata' in calce, e che dicevano le stesse cose.
Le truppe schierate attesero l'ordine, che non tardò. Ci fu un grande parapiglia iniziale dal momento che i generali dei due eserciti non si capirono sulle modalità di inizio. Poi l'ordine fu di posizionare i soldati nelle trincee, si prospettava una carneficina di fratelli. La prima linea rimase per due giorni a studiare 'il nemico' di fronte, questo era l'ordine, poi sparare alla prima occasione favorevole. Così avvenne, e un soldato fu colpito gravemente alla testa. I suoi compagni lo trassero dal fuoco nemico, lo videro in condizioni pietose, rantolava, il sangue gli sgorgava come una fontana e nella trincea non v'erano bende a sufficienza, tanto che il suo amico, in lacrime, si strappò la divisa per farne strisce emostatiche. Gli morì tra le braccia mentre nell'ultimo suo afflato pronunciava la parola 'fratelli'. E quando venne aperto il suo zaino, i compagni di trincea trovarono, ben piegato, uno di quei manifesti con la 'A cerchiata'. Lo lessero tutti, piansero e capirono. Poi i soldati presero una decisione in autonomia.
Col sangue del soldato morto scrissero un cartello che diceva: 'ieri eravamo fratelli, perché non esserlo oggi e per sempre'? Di nascosto del comandante alzarono quel cartello con un bastone per farlo leggere alla linea opposta. Passarono alcuni minuti, poi anche dalla linea opposta si scorse un bastone con qualcosa appeso, sembrava uno straccio con delle scritte sopra, ma non si riusciva a leggere. Allora l'amico del soldato morto si prese coraggio e uscì dalla trincea. Ad ogni passo si aspettava una pallottola. Nessuno gli sparò. E quando fu a qualche metro da quello straccio, si accorse che in un angolo c'era stampata un 'A cerchiata', la stessa del manifesto che aveva il suo amico nello zaino. Si stupì profondamente, poi nei suoi occhi si potè leggere una gioia da tempo dimenticata. Allora urlò: 'fratello'! L'altro uscì dalla trincea. Si sorrisero e si scambiarono le sigarette. Tutti i soldati, da una parte e dall'altra, urlarono di gioia e uscirono dalle rispettive trincee, infischiandosene degli ordini dei comandanti.
La storia venne poi scritta in un libro affinché tutti potessero trarne insegnamento, ma le autorità degli Stati ne vietarono come al solito la pubblicazione. Buon pro' vi faccia.
C'era una volta uno Stato che aveva deciso di fare la guerra a un altro Stato. Il primo Stato cominciò la sua propaganda per convincere il popolo ad armarsi e partire in guerra. Anche il secondo Stato cominciò a fare la sua propaganda. Ambedue gli Stati dicevano ai loro rispettivi popoli che la bandiera è sacra, che la patria è sacra, che i cittadini dell'altro Stato sono brutti, cattivi e pericolosi. Ogni Stato esaltava le proprie qualità e denigrava quelle dell'altro Stato. Così, alla lunga, ognuno dei due popoli si convinse di essere migliore e superiore dell'altro, che bisognasse davvero difendersi dall'altro popolo, che ammazzare lo straniero fosse davvero un atto di libertà.
Quando i capi dei due Stati ritennero i loro popoli abbastanza indottrinati e pronti per la guerra, i generali formarono gli eserciti e prepararono le strategie d'attacco. Fu deciso persino chi dovesse attaccare per primo e in quale modo i capi dovessero essere salvati ed eventualmente risarciti alla fine della guerra, naturalmente tutte le spese erano a carico del popolo, ma quest'ultimo era troppo imbonito dalla propaganda per considerarle un vero problema dopo la guerra.
Intanto, nelle città del primo Stato, da qualche tempo, potevano vedersi affissi dei manifesti che esortavano alla pace, alla fratellanza, alla solidarietà. Dicevano che l'altro popolo non era diverso, che l'idea che fosse cattivo era solo propaganda di Stato, una menzogna che avrebbe fatto arricchire la casta e condotto alla morte tanti fratelli e sorelle. Una 'A cerchiata', simbolo della libertà, della pace e della giustizia sociale, era alla fine posta in calce ad ogni manifesto. Anche se quello Stato si autodefiniva 'democratico' e diceva che i suoi cittadini erano liberi, c'era una legge che obbligava ogni persona a pagare dei soldi anche per poter pubblicare un proprio pensiero, perciò quei manifesti venivano affissi di notte, clandestinamente. Molti di quei manifesti venivano strappati al mattino dai vigili, ma quelli che sfuggivano al controllo dell'autorità locale contenevano una tale forza di pace che i cittadini che li leggevano non potevano fare a meno di pensare che la guerra, in fin dei conti, era un male e che la libertà non consisteva nel difendere la patria, bensì nel capire che tutti gli individui sono uguali, che non c'era nessun nemico oltre frontiera. Curiosamente, anche nelle città dell'altro Stato c'erano affissi manifesti clandestini con una 'A cerchiata' in calce, e che dicevano le stesse cose.
Le truppe schierate attesero l'ordine, che non tardò. Ci fu un grande parapiglia iniziale dal momento che i generali dei due eserciti non si capirono sulle modalità di inizio. Poi l'ordine fu di posizionare i soldati nelle trincee, si prospettava una carneficina di fratelli. La prima linea rimase per due giorni a studiare 'il nemico' di fronte, questo era l'ordine, poi sparare alla prima occasione favorevole. Così avvenne, e un soldato fu colpito gravemente alla testa. I suoi compagni lo trassero dal fuoco nemico, lo videro in condizioni pietose, rantolava, il sangue gli sgorgava come una fontana e nella trincea non v'erano bende a sufficienza, tanto che il suo amico, in lacrime, si strappò la divisa per farne strisce emostatiche. Gli morì tra le braccia mentre nell'ultimo suo afflato pronunciava la parola 'fratelli'. E quando venne aperto il suo zaino, i compagni di trincea trovarono, ben piegato, uno di quei manifesti con la 'A cerchiata'. Lo lessero tutti, piansero e capirono. Poi i soldati presero una decisione in autonomia.
Col sangue del soldato morto scrissero un cartello che diceva: 'ieri eravamo fratelli, perché non esserlo oggi e per sempre'? Di nascosto del comandante alzarono quel cartello con un bastone per farlo leggere alla linea opposta. Passarono alcuni minuti, poi anche dalla linea opposta si scorse un bastone con qualcosa appeso, sembrava uno straccio con delle scritte sopra, ma non si riusciva a leggere. Allora l'amico del soldato morto si prese coraggio e uscì dalla trincea. Ad ogni passo si aspettava una pallottola. Nessuno gli sparò. E quando fu a qualche metro da quello straccio, si accorse che in un angolo c'era stampata un 'A cerchiata', la stessa del manifesto che aveva il suo amico nello zaino. Si stupì profondamente, poi nei suoi occhi si potè leggere una gioia da tempo dimenticata. Allora urlò: 'fratello'! L'altro uscì dalla trincea. Si sorrisero e si scambiarono le sigarette. Tutti i soldati, da una parte e dall'altra, urlarono di gioia e uscirono dalle rispettive trincee, infischiandosene degli ordini dei comandanti.
La storia venne poi scritta in un libro affinché tutti potessero trarne insegnamento, ma le autorità degli Stati ne vietarono come al solito la pubblicazione. Buon pro' vi faccia.
1 commento:
E' come dovremmo fare noi:
lasciare governanti,preti e generali a parlarsi sopra e noi VIVERE!
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