Non è possibile compiere valutazioni coerenti ed obiettive di un fenomeno, se non sappiamo capire il contesto culturale in cui quel fenomeno si è creato. Che vuol dire? Poniamo il caso di voler valutare la filosofia kantiana: se ci trovassimo in un contesto culturale diverso da quello razionalista, basato invece sull'idealismo, le nostre valutazioni in merito al pensiero di Kant tenderebbero logicamente a porre un filtro, un medium posto tra il nostro sistema percettivo delle cose e quello in cui Kant si era collocato storicamente. Ne consegue che tutti gli assunti originali possono facilmente essere reinterpretati e, il più delle volte, giudicati secondo il 'gusto' imposto dalla cultura corrente. Un altro esempio può essere quello relativo alla lettura del Medioevo: noi non sappiamo valutare quel periodo storico in maniera davvero obiettiva, poiché le nostre conoscenze sul Medioevo sono filtrate da posizioni culturali che discendono ancora, per la maggior parte, dalle interpretazioni ottocentesche, romantiche. In quanto interpretazioni, molte informazioni risultano falsate, congetturali, deformate o addirittura velleitarie. E' normale che sia così, anche se non dovrebbe esserlo. Cosa fare allora per una corretta valutazione di un fenomeno (storico, sociale, politico, filosofico...)? La risposta è semplice, quel che invece risulta difficile è la messa in pratica della soluzione proposta: occorre possedere una mente e una coscienza talmente aperte ed elastiche da comprendere e accettare -seppur per un tempo necessario- quella cultura così diversa dalla nostra. Occorre studiare, conoscere. In questo modo è più facile appropriarsi dei criteri di valutazione tra i più vicini a quelli posseduti da chi aveva vissuto direttamente la contemporaneità del fenomeno. In poche parole, utilizzando un esempio concreto, è più facile valutare obiettivamente l'arte aborigena soltanto se mi avvicino (senza filtri) a quella cultura, studiandola profondamente.
Mi è capitato di discutere di anarchia con amici non anarchici -ma inclini alla comprensione- ed ho capito che il loro metro di giudizio, condizionato dal modello culturale dominante, non permetteva loro di capire sino in fondo certi snodi fondamentali su cui si dipanano le idee anarchiche. Difficile, ad esempio, far capire che le azioni di un anarchico sono sempre funzionali ad obiettivi di ampio respiro, alle istanze delle generazioni future e dell'intera umanità. Un anarchico guarda sempre avanti, anzi oltre, per il bene di tutti. L'avanguardia anarchica è troppo audace per essere compresa attraverso il modello culturale imposto, dominante e pressoché egoista. I miei amici facevano il seguente discorso: 'comprendiamo i valori dell'anarchia e li condividiamo, ma noi andiamo a votare perché un nuovo governo può risolvere i nostri attuali problemi, anche se in parte'. Da questa frase si capisce che l'urgenza dei miei amici è quella di risolvere i problemi della loro generazione, di due al massimo. Ne consegue l'errore di sempre e cioè quello di dire 'bella l'anarchia, ma per adesso voto, poi si vedrà'. E in questo modo si garantisce l'oppressione statale per altre migliaia di anni, perpetuando ad libitum il dominio dell'Uomo sull'Uomo.
Alla luce di queste esperienze dirette e quotidiane, penso sia più utile anzitutto programmare, anzi, riprogrammare una vera strategia di informazione anarchica. Se n'è già parlato in questo blog (qui). Gli errori odierni di interpretazione sull'anarchia, perciò, non soltanto sono il frutto di una distorsione pianificata da parte dei sistemi statali e degli apparati ad essi collegati (anche la scuola), ma anche di uno scollamento culturale, di una distanza storica, addirittura epidermica, e di una non conoscenza dell'anarchismo. Per questi motivi vi è molta diffidenza anche nell'accettare soltanto l'offerta di un approccio corretto all'anarchia. L'interlocutore cade sovente nella ricerca di minuziosi cavilli che sono pretesti pur di non accettare l'attuazione dell'anarchismo. E sono cavilli che nascono proprio da una incoerente e non obiettiva valutazione delle cose. Come dire, ad esempio: valuto il sistema comunicativo delle formiche sulla base della mia conoscenza in fatto di comunicazione; in questo caso è evidente che, se avessi voglia di smontare la teoria della trofallassi e difendere il mio metodo comunicativo, potrei trovare cavilli del tipo seguente: 'sì, ma le formiche non possiedono internet'; e in questo modo chiuderei soddisfatto l'argomento, evaderei la fastidiosa pratica e buonanotte, non sapendo che quella delle formiche è una comunicazione differente della nostra, fors'anche più complessa.
D'altra parte, quando qualcuno cerca di sfidare l'anarchia con la solita domanda (altro cavillo) 'ma come la mettiamo con la natura dominatrice dell'essere umano'? anche Errico Malatesta aveva dato una risposta precisa: è una questione di 'ambiente'. In un contesto culturale diverso da quello in cui ci hanno calati, dove invece dell'edonismo e del capitalismo vige la fratellanza e la concreta solidarietà, l'individuo acquisirà un imprinting in tal senso e si comporterà di conseguenza, in modo tale che ogni atto di dominio sul prossimo sarà percepito come qualcosa di distruttivo, per sé e per il contesto. E' perciò una questione di coscienza da edificare, di una nuova consapevolezza da acquisire, occorre un nuovo sistema culturale. Difficile da comprendere, oggi, se valutiamo questo con il consueto criterio di valutazione, appunto. Pensiamo a un neonato che cresce in un ambiente culturale pacifico, solidale, libero; quel neonato diventerà un individuo adulto che agirà in funzione di quel contesto per mantenerlo (e mantenersi) libero e pacifico, comprenderà da solo che la malvagità è controproducente per sé e per gli altri. Ogni eccezione confermerebbe la regola. Del resto, esiste già una pedagogia volta in tal senso, ma di cui non si parla. Se vogliamo pescare anche nella Storia, ci sono stati molti intellettuali che hanno affermato che la malvagità della natura umana, in sé, non esiste, poiché in natura è più forte l'istinto di sopravvivenza piuttosto che l'autodistruzione. Semmai, la malvagità è figlia del contesto culturale in cui gli esseri umani vivono, o meglio, sono costretti a vivere. La Natura ce ne dà molti esempi e anche il formulario verbale comune: un animale tenuto in gabbia si dice posto in cattività. E citando Leon Shenandoah, il saggio capo pellerossa, potrei aggiungere che un animale fuori dallo stato di cattività non è selvaggio, ma semplicemente libero.
Naturalmente, non sono mancati altri cavilli da parte dei miei amici, posti sottoforma di domanda, come questa: 'se ritieni che la proprietà privata sia un principio sbagliato, come ti comporti se una famiglia di migranti senza tetto ti bussa in casa per viverci'? Di fronte a una domanda del genere, il non anarchico tenderà a pensare: 'ottima domanda, vediamo cosa risponde'. Ma anche questa domanda, in realtà, dimostra il fatto che si tende a valutare le cose secondo modelli distanti anni luce da quelli anarchici, cioè rinchiudendosi negli schemi attuali, egoistici (stereotipi capitalisti, conservatori, di stampo borghese). Un anarchico sa bene che in una società davvero libera il problema -aperto pretestuosamente- non si porrebbe neppure, e per gli stessi motivi di cui sopra. E' molto semplice: in una società anarchica ogni individuo avrebbe una casa, senza neppure pagarla (i diritti non si pagano). Utopia? Assolutamente no. Banalizzando -ma come si fa a non farlo adesso- fino a 60 anni fa era un'utopia persino il frigorifero, mentre era considerato normale mettere il burro sul davanzale d'inverno. Oggi abbiamo un'altra cultura, appunto, e potremmo considerare anormale chi ripone ancora il burro fuori dalla finestra. Se questo possa bastare ad allontanare anche l'altro cavillo a cui, di solito, viene legata la parola utopia, vorrei anche ricordare che le società anarchiche si sono davvero realizzate, solo che nessuno viene a scrivercelo sui libri di Storia, ovvio. Certo, se non ci fossero state le armi fasciste e comuniste (comunque statali) ad estinguere ogni volta quelle società, a quest'ora l'anarchismo sarebbe la consuetudine. Anzi, non ci sarebbe bisogno neanche di parlare di anarchia.
Morale: anzitutto è completamente sbagliato tentare di criticare l'anarchismo se lo si soppesa con una bilancia completamente starata o predisposta alla misurazione di altri sistemi, come sempre avviene, cercando mille cavilli che non hanno neppure motivo di esistere. In secondo luogo, occorre predisporre urgentemente gli individui alla consapevolezza dell'anarchia, intesa davvero come opzione politica e filosofica, nonché come modello alternativo di vita, alfine libera da gerarchie (che generano inevitabilmente violenza e sperequazioni). Urge perciò una propaganda che parta dall'inizio, dall'a-b-c dell'anarchismo. I cittadini potranno oggi anche andare a votare, ma se resi al più presto coscienti del vero pensiero anarchico, essi non avranno bisogno di molto tempo ancora per capire autonomamente e in maniera chiarissima che il loro voto li rende schiavi (e rende schiavi anche noi). Non ci saranno, per molto tempo ancora, cittadini che diranno 'per ora voto, poi si vedrà'. Non ci saranno, per molto tempo ancora, cittadini che non sanno guardare e concepire oltre la destra e la sinistra, oltre questa politica profondamente ingiusta e che dura ormai da troppo tempo. E' tempo di cambiare.
EDGMi è capitato di discutere di anarchia con amici non anarchici -ma inclini alla comprensione- ed ho capito che il loro metro di giudizio, condizionato dal modello culturale dominante, non permetteva loro di capire sino in fondo certi snodi fondamentali su cui si dipanano le idee anarchiche. Difficile, ad esempio, far capire che le azioni di un anarchico sono sempre funzionali ad obiettivi di ampio respiro, alle istanze delle generazioni future e dell'intera umanità. Un anarchico guarda sempre avanti, anzi oltre, per il bene di tutti. L'avanguardia anarchica è troppo audace per essere compresa attraverso il modello culturale imposto, dominante e pressoché egoista. I miei amici facevano il seguente discorso: 'comprendiamo i valori dell'anarchia e li condividiamo, ma noi andiamo a votare perché un nuovo governo può risolvere i nostri attuali problemi, anche se in parte'. Da questa frase si capisce che l'urgenza dei miei amici è quella di risolvere i problemi della loro generazione, di due al massimo. Ne consegue l'errore di sempre e cioè quello di dire 'bella l'anarchia, ma per adesso voto, poi si vedrà'. E in questo modo si garantisce l'oppressione statale per altre migliaia di anni, perpetuando ad libitum il dominio dell'Uomo sull'Uomo.
Alla luce di queste esperienze dirette e quotidiane, penso sia più utile anzitutto programmare, anzi, riprogrammare una vera strategia di informazione anarchica. Se n'è già parlato in questo blog (qui). Gli errori odierni di interpretazione sull'anarchia, perciò, non soltanto sono il frutto di una distorsione pianificata da parte dei sistemi statali e degli apparati ad essi collegati (anche la scuola), ma anche di uno scollamento culturale, di una distanza storica, addirittura epidermica, e di una non conoscenza dell'anarchismo. Per questi motivi vi è molta diffidenza anche nell'accettare soltanto l'offerta di un approccio corretto all'anarchia. L'interlocutore cade sovente nella ricerca di minuziosi cavilli che sono pretesti pur di non accettare l'attuazione dell'anarchismo. E sono cavilli che nascono proprio da una incoerente e non obiettiva valutazione delle cose. Come dire, ad esempio: valuto il sistema comunicativo delle formiche sulla base della mia conoscenza in fatto di comunicazione; in questo caso è evidente che, se avessi voglia di smontare la teoria della trofallassi e difendere il mio metodo comunicativo, potrei trovare cavilli del tipo seguente: 'sì, ma le formiche non possiedono internet'; e in questo modo chiuderei soddisfatto l'argomento, evaderei la fastidiosa pratica e buonanotte, non sapendo che quella delle formiche è una comunicazione differente della nostra, fors'anche più complessa.
D'altra parte, quando qualcuno cerca di sfidare l'anarchia con la solita domanda (altro cavillo) 'ma come la mettiamo con la natura dominatrice dell'essere umano'? anche Errico Malatesta aveva dato una risposta precisa: è una questione di 'ambiente'. In un contesto culturale diverso da quello in cui ci hanno calati, dove invece dell'edonismo e del capitalismo vige la fratellanza e la concreta solidarietà, l'individuo acquisirà un imprinting in tal senso e si comporterà di conseguenza, in modo tale che ogni atto di dominio sul prossimo sarà percepito come qualcosa di distruttivo, per sé e per il contesto. E' perciò una questione di coscienza da edificare, di una nuova consapevolezza da acquisire, occorre un nuovo sistema culturale. Difficile da comprendere, oggi, se valutiamo questo con il consueto criterio di valutazione, appunto. Pensiamo a un neonato che cresce in un ambiente culturale pacifico, solidale, libero; quel neonato diventerà un individuo adulto che agirà in funzione di quel contesto per mantenerlo (e mantenersi) libero e pacifico, comprenderà da solo che la malvagità è controproducente per sé e per gli altri. Ogni eccezione confermerebbe la regola. Del resto, esiste già una pedagogia volta in tal senso, ma di cui non si parla. Se vogliamo pescare anche nella Storia, ci sono stati molti intellettuali che hanno affermato che la malvagità della natura umana, in sé, non esiste, poiché in natura è più forte l'istinto di sopravvivenza piuttosto che l'autodistruzione. Semmai, la malvagità è figlia del contesto culturale in cui gli esseri umani vivono, o meglio, sono costretti a vivere. La Natura ce ne dà molti esempi e anche il formulario verbale comune: un animale tenuto in gabbia si dice posto in cattività. E citando Leon Shenandoah, il saggio capo pellerossa, potrei aggiungere che un animale fuori dallo stato di cattività non è selvaggio, ma semplicemente libero.
Naturalmente, non sono mancati altri cavilli da parte dei miei amici, posti sottoforma di domanda, come questa: 'se ritieni che la proprietà privata sia un principio sbagliato, come ti comporti se una famiglia di migranti senza tetto ti bussa in casa per viverci'? Di fronte a una domanda del genere, il non anarchico tenderà a pensare: 'ottima domanda, vediamo cosa risponde'. Ma anche questa domanda, in realtà, dimostra il fatto che si tende a valutare le cose secondo modelli distanti anni luce da quelli anarchici, cioè rinchiudendosi negli schemi attuali, egoistici (stereotipi capitalisti, conservatori, di stampo borghese). Un anarchico sa bene che in una società davvero libera il problema -aperto pretestuosamente- non si porrebbe neppure, e per gli stessi motivi di cui sopra. E' molto semplice: in una società anarchica ogni individuo avrebbe una casa, senza neppure pagarla (i diritti non si pagano). Utopia? Assolutamente no. Banalizzando -ma come si fa a non farlo adesso- fino a 60 anni fa era un'utopia persino il frigorifero, mentre era considerato normale mettere il burro sul davanzale d'inverno. Oggi abbiamo un'altra cultura, appunto, e potremmo considerare anormale chi ripone ancora il burro fuori dalla finestra. Se questo possa bastare ad allontanare anche l'altro cavillo a cui, di solito, viene legata la parola utopia, vorrei anche ricordare che le società anarchiche si sono davvero realizzate, solo che nessuno viene a scrivercelo sui libri di Storia, ovvio. Certo, se non ci fossero state le armi fasciste e comuniste (comunque statali) ad estinguere ogni volta quelle società, a quest'ora l'anarchismo sarebbe la consuetudine. Anzi, non ci sarebbe bisogno neanche di parlare di anarchia.
Morale: anzitutto è completamente sbagliato tentare di criticare l'anarchismo se lo si soppesa con una bilancia completamente starata o predisposta alla misurazione di altri sistemi, come sempre avviene, cercando mille cavilli che non hanno neppure motivo di esistere. In secondo luogo, occorre predisporre urgentemente gli individui alla consapevolezza dell'anarchia, intesa davvero come opzione politica e filosofica, nonché come modello alternativo di vita, alfine libera da gerarchie (che generano inevitabilmente violenza e sperequazioni). Urge perciò una propaganda che parta dall'inizio, dall'a-b-c dell'anarchismo. I cittadini potranno oggi anche andare a votare, ma se resi al più presto coscienti del vero pensiero anarchico, essi non avranno bisogno di molto tempo ancora per capire autonomamente e in maniera chiarissima che il loro voto li rende schiavi (e rende schiavi anche noi). Non ci saranno, per molto tempo ancora, cittadini che diranno 'per ora voto, poi si vedrà'. Non ci saranno, per molto tempo ancora, cittadini che non sanno guardare e concepire oltre la destra e la sinistra, oltre questa politica profondamente ingiusta e che dura ormai da troppo tempo. E' tempo di cambiare.
13 commenti:
Si tratta di incominciare: io non ho nessun pregiudizio, anzi, vorrei che cominciassimo subito.
Hai scritto un post, qualche giorno fa, in cui narravi del come un gruppo di clienti decisero di appropriarsi di un cibo mai mangiato prima. Per arrivare all'obiettivo del possesso del cibo, i clienti si sono visti nella necessità di usare violenza al cameriere, [altro lavoratore vittima anche se fedele alle direttive del ristoratore].
Poi, mi pare hanno festeggiato, invitando altri a prendere parte alla festa [e agli assaggi]. Non so se hanno rivolto l'invito anche a quelli contro cui avevano lottato, ma hanno "usato comunque violenza". Ecco, se penso a Bresci e agli altri, la loro violenza, condannata dalla "maggioranza antinarchica", non è servita poi a molto, considerato che poi molti di loro hanno pagato con la vita il gesto violento. E l'anrchismo ha finito per essere catalogato come caos infernale.
Nel tuo racconto, al contrario, c'è la festa finale. La festa come liberazione, come iniziazione. Sì, caro amico, da dove iniziare? Dal nostro stssso inferno? Forse, si dovrebbe fare di necessità virtù.
Una società anarchica, dal mio barbaro punto di vista, presuppone autocoscienza e grande maturità dell'individuo. È una grande, immane sfida!
Ciao!
@ River
Molto tempo fa gli uomini vivevano sugli alberi, non avevano ancora capito che potevano scendere e camminare, costruire capanne, ecc.. Fu il più ardito di loro che decise di mostrare un'altra possibilità. Da lì cominciò l'evoluzione dell'Uomo. Non basta come esempio di autocoscienza? Forse siamo diventati molto più stupidi di quei primati, ma risvegliando i geni, magari...
Riguardo alla novella che tu citi, è pura metafora, il cameriere è la metafora dello Stato, l'obiettivo è quello di immobilizzarlo, annullarlo. Insomma, se poi bisogna per forza cadere nella trappola della violenza, che non sia almeno a senso unico e invito tutti a porvi le seguenti domande: chi è più violento, il cittadino o lo Stato con la sua polizia? Chi scaglia la prima pietra, il cittadino o chi scrive leggi repressive? Chi ha inventato le gerarchie, i cittadini o i despoti? Chi è privilegiato, il cittadino o l'eletto? Qualsiasi atto di forza espresso dal cittadino nei confronti dello Stato è legittimo e non è vero che non serve a niente, può far nascere altre menti che si innamorano dell'ideale anarchico (nel caso di Bresci, visto che lo citi, come Virgilia D'Andrea).
Riguardo al che fare, l'ho detto varie volte: conoscere davvero l'anarchismo, studiarlo senza pregiudizi (so che non ne hai, però pecchi ancora di qualche stereotipo, sulla violenza, ad esempio).
Conoscere è il primo passo, e non è poco, credimi. Poi parleremo del resto, se vuoi.
se guardiamo al bene in se platonico allora potremmo costruire insieme anche la repubblica che sognava Platone 25 secoli fa?
i contrari sono sempre esistiti e purtroppo anche il povero e il ricco: non so concepire una società di uguali,sarebbe troppo bello.
ti auguro un sereno Natale.
se guardiamo al bene in se platonico allora potremmo costruire insieme anche la repubblica che sognava Platone 25 secoli fa?
i contrari sono sempre esistiti e purtroppo anche il povero e il ricco: non so concepire una società di uguali,sarebbe troppo bello.
ti auguro un sereno Natale.
Yellow, non ti rassegnare ad essere schiavo.
Buone feste anche a te
sono libero dentro, sonfinato.....
Io mi trovo d'accordo, anche se sono pessimista sulla questione dell'istruzione. I miei interlocutori, nonostante i miei più fervidi sforzi, continuano a riassumere l'anarchia come l'assenza di regole, si fermano sul fatto di darmi torto a tutti i costi, e il dialogo che inizia a due presto diventa a otto, sette dei quali sono concentrati sul ribadire a quell'uno, che sarei io, i seguenti assunti (rigirati in varie forme):
- l'anarchia è utopia
- l'anarchia non dispone di passaggi dallo stato attuale delle cose a quello anarchico, senza la spaventevole fase della dittatura a scopo di anarchia
- l'anarchia è assenza di regole, il più forte diventa il più potente e non c'è via di uscita per nessuno.
Io ho ritrovato la mia via tramite Zeitgeist, che è una serie di video divulgativi che spiegano di un'anarchia possibile OGGI. Ho cercato di far fare ad altri lo stesso percorso (insieme ad altri, pù periferici, quali Bakunin ad esempio), ma in tre anni NON HO POTUTO VERIFICARE UN RISULTATO POSITIVO CHE SIA UNO.
Come si passa, senza studio poiché apparentemente nessuno dei miei coetanei (intorno ai 30-40 anni) vuole studiare la materia, dallo stato attuale all'anarchia? Esiste un modello accettabile per coloro che credono che se l'anarchia. Effettivamente, senza le alternative poste dai video che ho detto sopra, l'anarchia sarebbe possibile soltanto con il fermarsi contemporaneo e definitivo di tutti i sistemi moderni e l'improvviso riavviarsi secondo modello anarchico. Una cosa, bisogna dar loro ragione, abbastanza improbabile.
Buon Solstizio
Alfonso
@ Alfonso
Anzitutto non dò assolutamente ragione ai tuoi amici. Come fare a dar loro ragione quando la loro testa è intrisa solo di stereotipi? Ovvio che non hai ricevuto un solo risultato! Se sei in grado di spiegare loro le menzogne che si celano dietro le parole Stato, democrazia, costituzione, repubblica... allora forse hai qualche speranza che i tuoi amici possano capire (ma loro devono essere elastici di mente). Altrimenti lascia perdere, non c'è peggior sordo... Utopia, senza regole, caos, violenza... emerite minchiate di Stato! E minchioni quelli che abboccano!
Mi chiedi come si passa dallo stato attuale all'anarchia. E' semplice, è solo questione di coscienza, un altro tipo di coscienza da acquisire, poi il resto viene di conseguenza e con naturalezza. Avessi una tv nazionale, nel giro di un anno farei la rivoluzione delle coscienze. Occorre studiare davvero l'anarchia, senza cadere nell'errore di dire 'beh, dato che non si sa come fare l'anarchia, allora è impossibile'. Chi dice questo è uno stolto, perché nella storia umana i veri progressi si sono compiuti proprio perché qualcuno ha abbattuto questi muri mentali (solo mentali). Pensa alle grandi invenzioni, chi avrebbe mai detto che un giorno avremmo potuto comunicare così? Non era utopia, solo 40 anni fa? Anche la repubblica era considerata un'utopia.
Quelli che poi cercano prove della validità dell'anarchia (ahhh... le prove!) mi fanno solo ridere per molti motivi. Intanto le prove ci sono, ma anche se non ci fossero... perché pretendere prove da un sistema che viene rifiutato a priori e che quindi ad oggi non esiste? La pretesa di prove è solo un pretesto costruito dalla propria coscienza. Piuttosto sarebbe da ribaltare questa questione, sarei io a esigere delle prove di validità di questo sistema politico statale: chi mi dà la prova che viviamo in un sistema civile? Chi mi dà la prova che tutti hanno gli stessi diritti? Chi mi dà la prova che non esistono ingiustizie? Sono 2000 anni che ci prendono in giro, nessuno potrà mai darmele queste prove. E l'anarchia l'abbiamo provata, prima di giudicare?
Guarda, alla fine è solo questione di apertura mentale e di volontà di recepire nuove soluzioni, che ci sono, sono tutte lì, basta aprire la gabbia.
Nel blog troverai un banner (sezione documentari) che manda ai filmati relativi all'anarchia applicata nel 1936 a Barcellona. Buona visione e buon solstizio anche a te.
Bel post, molto interessante. Però non capisco ancora una cosa; Tutti avrebbero una casa (ed è giustissimo), ma la domanda mi sorge spontanea: Chi è che le costruirebbe? e che ricompensa avrebbe?
P.s. So che esisteranno delle federazioni (piccole unione dei lavoratori) specializzate, ma non potranno provvedere a tutto.
Grazie.
Anonimo, grazie, ma la tua domanda mi lascia sgomento. Ma secondo te chi le costruisce le case? chi le ha sempre costruite? Chi ha edificato materialmente tutto -e dico tutto- in questo mondo? I padroni e i re? O il popolo (per i padroni e i re)? Forse anche tu dovresti valutare le cose anarchiche secondo un metro che si distacca dal consueto pensare (si pensa e si dice infatti... 'la piramide di Cheope', ma nessuno pensa o dice che la piramide è del popolo di Cheope, perché è il popolo che l'ha costruita materialmente). Cosa avrebbe fatto Cheope da solo? E' questa la domanda che devi porti e poi dire 'Cheope non potrà provvedere a tutto'. In realtà Cheope non provvede a niente, se non a contare i soldi sottratti al popolo. In anarchia il popolo è auto organizzato sulla base del mutuo appoggio, solidale, esattamente come eravamo tutti prima che lo Stato venisse imposto con la forza e con l'inganno. Se oggi una decina di persone riescono a edificare una casa, figurati una rete solidale di persone libere. Se oggi delle squadre comandate riescono a costruire intere città, figuariamoci tutto un popolo ilbero, in cui le competenze davvero si sprecano. E' ampiamente dimostrato, poi, concretamente, che se il popolo è libero di agire risolve tutti i suoi problemi prima e meglio di qualsiasi istituzione, ne sono esempi concreti anche tutte le situazioni di emergenza in cui lo Stato getta la spugna ed esorta il popolo alla responsabilità. Anarchia è responsabilità. Chi ha pulito tutti i libri e i quadri dopo l'alluvione di Firenze? Chi li ha estratti dal fango? E quelle erano persone che neanche si conoscevano e si sono auto organizzate, da soli. E' solo un esempio. Ne vuoi un altro? Chi ha costruito e progettato le astronavi? Gli dèi? O credi forse che progettisti, meccanici, idraulici, muratori... siano venuti da una realtà parallela e metafisica? Dubiti della capacità del popolo, non vedi, eppure ci stai dentro, il tuo pc è stato forse assemblato da qualche divinità? O dalle mani di operai? Il libro di Colin Ward 'Anarchia come organizzazione' dovesti leggerlo, è illuminante e zeppo di risposte adatte anche alla tua domanda. In fondo è sufficiente pensare che ogni cosa, dalla più piccola alla più grande, lo hanno fatto le persone, mica superman. Ma forse è proprio questo valore di 'superman' dato ai capi e capetti che bisognerebbe stracciare dalla coscienza. Non è mai esistito nessun superman, nessun deus ex machina, il sistema si regge sulla menzogna stile Schettino. E lo sfacelo del sistema lo puoi toccare con mano. L'Aquila sta ancora sotto le macerie, tu credi davvero che se gli aquilani fossero stati lasciati liberi non sarebbero riusciti a riedificare la città? Non sai che nel popolo ci sono ingegneri, pompieri, muratori, idraulici, meccanici, artisti, e tutti i tecnici possibili e immaginabili? Nelle istituzioni trovi invece solo sanguisughe.
Giusto. In effetti ci si dovrebbe distaccare totalmente dalla realtà attuale e, allo stesso tempo, immergerci dentro la filosofia anarchica per poterla capire a fondo. Vorrei chiedere un'ultima cosa: In che modo dobbiamo agire per imparare i vari mestieri-lavori?
Ovviamente senza l'istruzione ufficiale.
Come abbiamo sempre fatto. O dalla pratica, quindi dall'esperienza, o dalle scuole (scuole libertarie, se ne stanno aprendo moltissime, ce ne sono parecchie nel mondo, davvero un altro universo). Senza scordare che ogni essere umano è dotato di cervello. Poi, guarda, non è che con l'anarchia si distruggono le competenze. Io che sono anarchico, ad esempio, non ho dimenticato come si fa a scrivere e se mi ci metto so costruire una casa. Non so cosa hai in mente rispetto all'anarchia, ma qui si tratta di cambiare il modello, tutto il resto rimane, sembra niente ma è una grande rivoluzione (cambiare il modello, da verticale e gerarchico, a orizzontale e solidale).
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